TRAMA
Max, tassista a Los Angeles, ospita sulla vettura il killer professionista Vincent, che presolo in ostaggio, lo costringe a condurlo nei luoghi in cui dovrà consumare i suoi delitti.
RECENSIONI
Colateral è una sinfonia notturna dedicata a Los Angeles, il ritratto mobile di una città: Michael Mann piega al suo estro uno script piuttosto interessante e gira almeno un'ora e mezza di cinema strepitoso. Se il dato sostanziale è, come al solito, alquanto attraente - la storia cogliendo i protagonisti in medias res e vedendoli operare nel tempo concentrato di una notte - e il rapporto tra i due personaggi, rilevandosi il loro graduale cambio di ruoli, sviluppato con ludica geometria, è vero d'altronde che le modalità con le quali questi elementi vengono resi risulta ancora più eclatante: Mann (che gira in digitale gran parte dell'opera) non è stato mai tanto efficace nel celebrare a dovere l'immagine in movimento e nel dipingere, da pittore sensibilissimo, un'atmosfera e una situazione. Superfluo è dire allora della suprema tecnica dell'artefice, della sua capacità di spogliare le vicende di ogni orpello e di riportarle, prosciugate, dal chiuso di un abitacolo agli esterni luminescenti di una città. E se Cruise appare così bravo è perché non è, come al solito, la star che ha da imporsi sul resto ma, come in Eyes wide shut, elemento perfettamente integrato in un quadro che assume rilevanza nella sua globalità (Collateral è un film di Michael Mann non un film con Tom Cruise).
L'ultima parte si inchina alle ragioni del thriller triviale e fa perdere quota a una pellicola fino ad allora perfetta, ma questo inciampo è peccato che perdoniamo facilmente a un regista che usa in quella manciata di minuti la maschera del blockbuster solo per coprire allo sguardo vorace di Hollywood il sembiante del vero artista.
Max lavora duro come tassista ma ha un sogno nel cassetto: mettere da parte i soldi necessari per aprire una società di noleggio limousine. Vincent è un killer di professione e in una notte deve uccidere cinque persone. Ovviamente, secondo la legge cinematografica di attrazione narrativa degli opposti, i due si incontreranno modificando per sempre il loro destino. A livello di scrittura il film non offre molte sorprese: l'ennesima strana coppia bianca e nera, una sceneggiatura circolare dall'impianto solido ma poco plausibile (con qualche coincidenza di troppo) e il solito tapino costretto dagli eventi a tirare fuori un'aggressività che non appartiene propriamente al suo Dna caratteriale. Non mancano poi dialoghi ad effetto, che ogni tanto tarantineggiano (l'aneddoto su Miles Davis), e personaggi un po' schematici: uno sogna le Maldive (emblema del miraggio collettivo) e ha una chiara funzione empatica, l'altro è fin dall'inizio cattivo cattivo, con lo sguardo glaciale privo di emozioni, tanto per far capire subito al pubblico da che parte stare. Nonostante queste premesse, comuni a tanti blockbuster americani, il film gode della sofisticata messa in scena di Michael Mann, che imprime potenza ad ogni inquadratura e fonde con perfetta sincronia, anche emotiva, le immagini con il tessuto musicale. Molti i momenti riusciti: i primi venti minuti, quasi muti, sono cinema allo stato puro, così come il crescendo, dal relax alla tragedia, nel jazz club. La scena alla discoteca Fever possiede una grande energia visiva, con una regia attenta a non disperdere il potenziale drammatico delle tante situazioni che incrocia. Ed è perfetto intrattenimento anche la parte finale, sicuramente la più debole a livello di costruzione del racconto, con la vittima designata sola nell'enorme grattacielo, la fuga nel metrò e l'inevitabile resa dei conti. Girato quindi meglio di come è scritto (tra l'altro per l'ottanta per cento in digitale), il film si avvale dello sfondo di una Los Angeles promossa al ruolo di protagonista trasversale; con il suo piano infinito di luci, splendidamente fotografate da Dion Beebe e Paul Cameron, che alternano improvvise violenze (l'agguato nel vicolo) a squarci di poesia (l'apparizione del coyote), accompagna con piglio da primadonna l'evolversi degli eventi. Quanto agli interpreti, il nutrito cast è ben sfruttato: da Jada Pinkett Smith a Mark Ruffalo, fino al cameo di Javier Bardem, che riesce a scrollarsi di dosso la "maniera" del boss narcotrafficante a cui dà vita. Tra i due protagonisti, Jamie Foxx surclassa la star e conferisce un'umanità sofferta e ferita al tassita Max (meno riusciti i siparietti sdrammatizzanti acchiappa-pubblico). Tom Cruise in versione criminale e brizzolata è come al solito molto convinto, ma da più che assodata icona di valori sani e positivi toglie un po' di cattiveria al killer Vincent: spara e uccide senza alcun rimorso, ma ha una sua etica e conserva sempre un bagliore di raziocinio che non lo rendono quasi mai davvero temibile.