TRAMA
Un uomo e una donna abitano nello stesso stabile: Paul è uno scrittore mantenuto da una ricca signora, Holly una ragazza stramba che conduce una vita sregolata, passando da un uomo all’altro. L’amore che li unisce è ostacolato dalle rispettive scelte esistenziali…
RECENSIONI
Blake Edwards traduce la dura leggerezza di una novella di Truman Capote in favola sentimentale e fa della sua creatura letteraria una figura indelebile della sophisticated comedy. Il mondo fantastico di Holly (Holyday...) vorrebbe coincidere con le fatuità del jet-set che le gravita attorno, ma le paturnie, attacchi di panico che la posseggono d'improvviso, glielo impediscono: la gioielleria Tiffany diventa il rimedio all'angst, al dolore inesprimibile, non per gli ori e i preziosi in vetrina, ma per l'atmosfera levigata, per l'austero silenzio, per i commessi distinti. Non può capitarti niente di brutto là dentro. C'è tutto il tormento capotiano nella figura di Holly: la sua svampitezza, la sua vitalità sono la fragile patina che copre la consapevolezza di un amaro vivere contro la quale il rutilante life-style della protagonista si rivela effimera panacea. Holly Golithly, dunque, cerca un posto nel quale finalmente "stare": la cover-girl, l'attricetta, la consolatrice del mafioso Sally Tomato è destinata a cercarlo senza posa sapendo, nel profondo, che la sua vita si esaurirà in questo vano eremitaggio; come il suo gatto, al quale rifiuta di affibbiare un nome, appartiene solo a se stessa: si è, insomma, ineluttabilmente soli, una festa indiavolata, un miraggio matrimoniale, il fantasma amoroso ce lo fanno dimenticare solo per qualche attimo.
Tutto il carico della disillusione del romanzo viene alleggerito dal film attraverso l'uso di un registro satirico e pungente, l'angoscia diventa risvolto, inchinandosi alle ragioni della commedia, merito e limite di una pellicola che scapicolla verso un lieto fine, mieloso e appiccicaticcio, che il grande scrittore, non accettò mai [1]. Edwards, con l'apporto decisivo dello sceneggiatore George Axelrod, dosa tutti gli ingredienti con mano leggera: l'amore, i soldi, il sesso, l'arte, la stravaganza, affida le musiche al solito Mancini (che regala le note di quello che sarebbe diventato, grazie anche a una memorabile versione di Frank Sinatra, un evergreen, Moon river) e consegna ai posteri un memorabile manifesto di "pesante" frivolezza.
[1] Capote definì inadeguata la trasposizione del romanzo fatto da Edwards, criticò duramente ogni aspetto del film: regia, cast, sceneggiatura. Avrebbe voluto la Monroe nel ruolo di protagonista e negli anni 80 si disse favorevole a un remake interpretato da Jodie Foster.
«Holly non è chic, non è il tipo con gli zigomi pronunciati , come Audrey Hepburn; è una ragazza in gamba, sì, ma in un senso completamente diverso».
(da Colazione da Truman, Lawrence Grobel - Minimum Fax, 2007)

Deliziosa love-story firmata da Blake Edwards, subentrato a un John Frankenheimer non gradito alla diva protagonista: come d’uso nella Hollywood (ancora) classica, viene piegato ai propri codici il racconto (1958) di Truman Capote, assai diverso nel farsi amara allegoria della moderna ribellione a morali e ruoli prestabiliti. Edwards fa debuttare George Peppard e salire l'aura divina di Audrey Hepburn con occhiali da sole, chignon, bocchino per sigaretta e tubini neri di Givenchy, ma il più simpatico di tutti è "Gatto" e il più strambo l’irriconoscibile Mickey Rooney nei panni di un iroso giapponese (operazione di whitewashing di cui Edwards, in seguito, si pentì). La sceneggiatura di George Axelrod edulcora il più possibile la pagina scritta: né Marilyn Monroe (che Capote avrebbe voluto) né Audrey Hepburn intendevano interpretare una prostituta scomoda, promiscua e amante dei diamanti di Tiffany, ma lo scaltro Edwards preserva lo spirito libertario e sbarazzino del personaggio di Holly che, comunque, dà uno scossone alle convenzionali figure femminili (cinematografiche) degli anni cinquanta. Semmai, le modifiche hanno sbiadito la figura di Paul, nella pagina scritta uno scrittore parimenti amorale, nel film un mantenuto che s’innamora, previo lieto fine assente nella testa di Capote. Il film di Edwards è cosa a sé, sinergia di icone attraenti e rivoluzionarie come Holly, di effetti mitopoietici su Manhattan, la Fifth Avenue e Tiffany, di scene memorabili come quella del party e quella della visita al negozio di gioielli. Oscar alle musiche di Henry Mancini e alla sua imperitura canzone "Moon river", scritta con Johnny Mercer e interpretata dalla protagonista.
