TRAMA
I detenuti Mickey (Depardieu) e Serge (Forget) evadono dal carcere e, guidati da Ricky (Dauphin), si dirigono verso un nascondiglio isolato. Si tratta di un’imboscata: Ricky li ha venduti a un gangster che aveva un conto in sospeso con Serge. Sopravvissuto all’agguato ma gravemente ferito, Serge si fa allora accompagnare da Mickey presso il vecchio amico Noël Durieux (Yves Montand), ex truand uscito dal giro e attualmente impegnato nell’allevamento di cavalli di razza insieme alla moglie Nicole (Deneuve). Dopo aver abbandonato la residenza dei Darieux ed essere venuto a conoscenza della morte di Serge, Mickey torna indietro reclamando un aiuto da Noël per espatriare, ma davanti alla dimora incontra casualmente gli ispettori Bonnardot (Galabru) e Sarlat (Lanvin) che tentano invano di arrestarlo. Pur trattandosi di pura casualità, Mickey è convinto di essere stato venduto alla polizia da Noël e nutre propositi di vendetta…
RECENSIONI
Uscito nel 1981 a soli due anni di distanza da Il fascino del delitto (Série noire), Codice d'onore (Le choix des armes) è il secondo capolavoro di Alain Corneau e il polar postmelvilliano più esatto mai girato in assoluto. Colpisce la diversità stilistica rispetto a Série noire: se il film del 1979, nella sua messa in scena irrequieta e nevrotica, rappresenta a mio avviso il neonoir perfetto, Le choix des armes riporta in vita con gloriosa e toccante sontuosità il "megacinema" di Jean-Pierre Melville. La vicenda di Noël Durieux, ex truand alle prese con il caso che si diverte a mettergli contro un evaso dal proiettile facile non solo è intrisa di temi melvilliani fino all’osso (l'ineluttabilità del destino, l'amicizia virile, la morte, la lealtà e il tradimento), ma è cinematograficamente scolpita con gli stessi attrezzi del Maestro.
Campi lunghi di maestosa staticità, panoramiche orizzontali nette come tagli di coltello, campi/controcampi di impassibile frontalità (quasi alla Ozu), stacchi di montaggio di folgorante simmetricità, carrellate inesorabilmente accerchianti: il cinema quintessenziale e visivamente sublimato di Melville balugina e risplende in ogni fotogramma. È l'ultimo Melville per la precisione, quello più esatto e metropolitano de I senza nome (Le cercle rouge) e Notte sulla città (Un flic), ad essere riesumato da Corneau: le strade della regione parigina si fanno punti di fuga perimetrati da muraglie di cemento, piste d'asfalto disegnate dal più beffardo degli urbanisti, il fato. In questo tracciato così rigido e predeterminato, qualsiasi tentativo di sfuggire all'implacabilità del destino, che priva cinicamente il vecchio truand della sicurezza domestica prima e dell'affetto coniugale poi, sembrerebbe votato allo scacco e alla sconfitta.
Ma è proprio qui che Corneau si smarca dal determinismo melvilliano e si ritaglia uno spazio di autonomia: lo sfacciato romanticismo familiare (che a tutta prima suona sguaiato e fuori luogo in un film tanto misurato) diventa libertà di scelta e deviazione dal percorso fatale: interrompere la logica vendicativa è possibile, se a dettare legge non è l'algido "codice d'onore" ma la calda urgenza degli affetti. È insomma nell'umanesimo che Corneau "tradisce" il maestro, irrorando il marmoreo fatalismo melvilliano di una sentimentalità premurosa e palpitante che fa de Le choix des armes un polar tanto glaciale quanto struggente. L'imponenza visiva lascia dunque spazio all'irruzione delle emozioni: tra sguardi che lampeggiano riconoscenza (quello di Serge ferito che rivede Noël dopo tanti anni mette letteralmente i brividi), abbracci che stringono affettuosamente (quello di Mickey alla figlioletta fa venire la pelle d'oca) e gesti di straziante compostezza (Noël che passa la mano tra i capelli di Nicole senza vita), il film di Corneau riesce a coniugare miracolosamente maestà cinematografica e spontaneità sentimentale. Commovente filologia melvilliana.
