TRAMA
Hector e Paloma, un ragazzino di quindici anni e la sua mamma single, passano le vacanze in un albergo vicino al mare. Giocano, _x000D_
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scherzano, si spalmano la crema solare, sono complici. E un bel giorno arriva Jazmin, una coetanea cicciottella più sveglia di lui, _x000D_
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con la quale scatta subito l’attrazione…
RECENSIONI
Il nuovo film di Fernando Eimbcke approda al Torino Film Festival, questa volta in concorso e addirittura vincitore, cinque anni dopo la presentazione di Sul Lago Tahoe (premiato nel 2008 a Berlino), un on-the-road di formazione ambientato in un sonnacchioso paesino dello Yucatan. Con Club Sandwich il regista messicano torna all'antico (Temporada de Patos, 2004) riposizionando il suo sguardo all'interno di un'unica unità di luogo (un desolato hotel con piscina in bassa stagione), e focalizzandolo su un "nuovo" giovane alle prese con le prime turbe adolescenziali e sul conseguente distacco da una madre cui è legato da un rapporto più che materno. Sin dalla sequenza di apertura (il reciproco spalmarsi la crema solare sulla schiena) si percepisce una complicità speciale tra Hector e Paloma, che l'avanzare della pellicola rivela di natura sempre più morbosa, ai limiti dell'incesto: battibeccano sul grado di seduzione dei loro costumi, giocano pericolosamente vicini sotto l'acqua della piscina o nel letto della camera, si scambiano il cibo uno dal piatto dell'altra. In particolare è la madre ad assumere un ruolo attivo trattando il figlio, che si limita ad assecondarla, alla stregua di un amante (gli sale letteralmente sopra per togliergli un brufolo nella schiena, lo chiama a dormire nel suo letto, si eccita quando scopre che gli stanno spuntando i baffi, è sempre lei a proporre di giocare, è lei che prima di addormentarsi nel buio della camera gli sussurra: "ti amo", ricevendo in cambio un educato "anch'io" ) in un legame apparentemente esclusivo, che però viene prima incrinato e poi definitivamente spezzato dall'entrata in scena di Jazmin, giovane ospite dell'albergo, attratta da lui, che crea i presupposti del distacco tra madre e figlio: lui vuole scandagliare in solitudine e senza interferenze gli anfratti della sessualità la cui scoperta è stata innescata da quell'incontro; lei, dalla pulsione erotica debordante (il suo rumoroso orgasmo nel sonno si contrappone alla contemporanea masturbazione trattenuta del figlio) vede Jazmin come un'usurpatrice, non ne vuol sapere di "liberare" l'amante/figlio, e cerca in tutti i modi e luoghi di ostacolare gli ammiccamenti tra i due ragazzi ed impedirne il naturale sbocco sessuale. Da questo momento Hector perderà interesse per quei riti di complicità materni abitudinari ed infantili e, in una sorta di normalizzazione, riporterà la relazione su binari più ordinari, cui, infine, dovrà adeguarsi anche la madre (l'ultima sera in camera non pronuncerà il "ti amo" della buonanotte).
Come nel precedente film, il caldo afoso anestetizza i personaggi che si lasciano pigramente ingabbiare in pochi luoghi, delimitati da strette inquadrature frontali. Ma se nel Lago Tahoe la scrittura fluida e leggera era supportata da una regia impeccabile in misura e per niente incline all'ingerenza, in Club Sandwich Eimbcke imbastisce un teorimino troppo meditato nel rappresentare il percorso di emancipazione di Hector dal giogo materno.
L'intera narrazione cigola nella sua prevedibile meccanicità (l'introduzione con la reiterazione dei riti, l'entrata in scena dell'agente esterno che sabota l'armonia, l'epilogo con la sintesi/normalizzazione), con l'aggravante di esibire una presunzione "autoriale" ingiustificata (la cura maniacale del dettaglio che "rivela" indispone nella sua calcolata affettazione), confermata da una messa in scena che si compiace di mandare segnali che dovrebbero alludere all'evoluzione del rapporto tra i tre protagonisti, ma che invece si ammanta insieme di sterile raffinatezza ed esibita significanza (esemplificative a tal riguardo le estenuanti inquadrature frontali e di spalle con il ragazzo al centro e le "contendenti" ai lati).
Dunque un Eimbcke deludente per chi aveva intravisto in lui un autore di interessante prospettiva, ma evidentemente una piacevole scoperta per chi ha decretato Club Sandwich il miglior film del concorso torinese.