TRAMA
Dan, scrittore, vive con Alice, la musa del suo romanzo, ma si innamora di Anna, fotografa. Lei però sposa Larry che, conosciuta Alice, ne rimane colpito…
RECENSIONI
Lo avevamo lasciato autore del kolossal televisivo ANGELS IN AMERICA, tratto dal dittico di Kushner, e ritroviamo Mike Nichols nei cinema con un adattamento di un altro grande successo teatrale, CLOSER (Intimo) del drammaturgo inglese Patrick Marber, che ne cura anche la sceneggiatura.
Nello schermo-acquario s'intrecciano le piste dei quattro protagonisti in un groviglio in cui sesso e amore seguono volentieri strade opposte e che dice quanto il tradimento non sia un fatto ma un sentimento: non si tradisce mai, semplicemente ci si sente traditi. In ques'ottica, in cui il sentire soggettivo viene prima del dato oggettivo - leggibile in diversi modi -, la verità e la menzogna sono variabili che conducono a esiti imprevedibili: possono infatti fungere entrambe da stratagemma, le impasse che creano confinando con l'affetto da un lato, con l'infedeltà e il sesso dall'altro; si scoprirà allora che ciò che sembrava plausibile era generato da una bugia (il finale squarcia il velo sul primo incontro di Dan e Alice, mostrandocelo marcato dalla falsità) e che quello che sembrava falso non lo era affatto (Alice che rivela il suo vero nome a Larry e non viene creduta; Larry che confessa a Dan di aver scopato Alice, rivelazione che pare un trucco bastardo per insinuare il dubbio, e che si scopre veriteria): che certe volte né si vuole mentire né si può essere sinceri con l'altro e che quando questo accade è segno che l'amore è evaporato.
Gli intrecci - che attuano alla lettera le regole dell'attrazione - sono risolti per sipari in cui si svolgono sempre e solo azioni decisive - incontri, seduzioni e rotture -, la narrazione è concentrata sui quattro personaggi - nessuno spazio per altri -, la confezione è paratelevisiva, la patina letteraria non è affatto rimossa dai dialoghi ma la forza significante del testo vince su tutto, anche su una regia solo corretta e con guizzi zero. Si gode dunque dell'intelligente tessitura della trama, di almeno una grande scena (quella in cui Anna/Julia Roberts confessa l'adulterio a Larry/Clive Owen) e per il resto, stanti le buone performance degli attori, ci si abbandona ai sollazzi e ai tormenti di questo carnevale umano in agrodolce.
Un quartetto di fantasmi d’amore, con il teatro come modello espressivo (i personaggi-maschere, le opprimenti sticomitie), sfondo allusivo (il litigio di Anna e Dan all’opera), metafora (la bugia totale, deliberata e potenzialmente salvifica di Alice, contrapposta agli squallidi sotterfugi degli altri tre). Abilissimamente diretto, grandiosamente recitato e impeccabilmente confezionato, CLOSER risulta molto meno riuscito del precedente film di Nichols, ANGELS IN AMERICA, altro adattamento di un testo teatrale, televisivo (in tutti i sensi) e discontinuo ma dannatamente vitale nel suo incessante fondere i generi e i piani del racconto, cambiando rotta a ogni inquadratura e tramutando quello che avrebbe potuto essere appena un bizzarro crogiolo in un gioiello di sfaccettata coerenza e sopraffina coesione. Strano a dirsi, CLOSER non inciampa sul piano visivo: il dramma da camera è esplorato dal regista senza stravaganze ma con grande attenzione (l’alternanza di figura intera e primo piano è spesso giocata con grande efficacia, come nella scena dello studio fotografico). Piuttosto, si ha a più riprese l’impressione che sia il dramma di Marber a non meritare tanta attenzione da parte di regista e attori: i torrenziali duelli di parole si risolvono spesso in fiacche (seppur superficialmente brillanti) variazioni su figure e suggestioni più che stantie, e in tutta la pièce ristagna un’aria didascalica che appesantisce anche gli elementi più promettenti (l’impenetrabile riserbo di Anna). La regia finisce per adattarsi un po’ troppo al copione, fino a cullarsi in un’eleganza innegabilmente cool (ancora una volta, purtroppo, in tutti i sensi). E chiunque abbia orchestrato gli echi di Così fan tutte, si tratta di un’idea non tanto banale quanto controproducente: molti testi ben più validi uscirebbero sconfitti da un confronto tanto insistito con il capolavoro della trilogia dapontiana-mozartiana. Concludendo: l’allievo Nichols è intelligente e si applica, ma potrebbe anche applicarsi a qualcosa di più valido.