- Senka Kljakic
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TRAMA
Jasna ha sedici anni e vive nella periferia di Belgrado con la madre, la sorella più piccola e il padre gravemente malato. A scuola conosce Djole di cui si innamora…
RECENSIONI
Clip di Maja Milos è un'opera elusiva, ostile nella sua costruzione, straziante resoconto dell'intraducibilità del sentire umano convulso ed ineffabile che preme ma che non riesce per sua natura ad imporsi, a trasfigurarsi attraverso la fisicità acerba di un corpo adolescente.
E' una storia di anime che passa per una narrazione fatta di corpi, scorze di pelle atte ad impedire alla luce di filtrarvi all'interno per scoprire cosa si muove sotto l'epidermide cinematografica.
La frammentarietà dell'opera, giocata su numerosi innesti, video girati attraverso uno smartphone dalla giovane protagonista, Jasna, rimbalza nell'anonimia del titolo: clip come porzione di video, particella separata dal tutto che non si declina con quanto le si muove attorno.
L'intero film ondeggia tra pieni e vuoti, sui concetti di esclusione ed inclusione al cui vertice si trova Jasna in affannosa ricerca di una vicinanza emotiva con Djole, compagno di scuola di tre anni più grande. La rincorsa disperata della ragazza alla volta di un contatto che non sia solo di pelle contro altra pelle si sconfessa nel proprio compiersi, nello scoprire se stessi confinati nel piatto ruolo di feticcio sessuale, mero oggetto scopico.Jasna si serve della fotocamera del proprio telefono cellulare come lente d'ingrandimento per cercare di decifrare quanto la circonda, focalizzando, ingrandendo dettagli, avvicinandosi ai corpi non solo per testimoniare e trattenere al tempo la propria presenza ma per stanare una chiave d'interpretazione autoevidente che leghi l'azione al sentire che fugge e si ritira, lasciando vagare altrove il significato di quanto viene inquadrato.
Jasna filma essenzialmente ciò che la eccita (il proprio corpo mentre danza per strada o costretto in stereotipate posizioni sexy da ragazza copertina, i rapporti e i giochi sessuali con Djole), ciò che non riesce a gestire e che rifiuta (il padre malato nel letto d'ospedale), ciò che la incuriosisce (i nonni in visita, le bravate dei compagni di scuola): in ognuna di queste occasioni lo strumento di ripresa viene usato per coprire uno scarto emotivo che non permette alla protagonista di appropriarsi di tutti quei sentimenti ingabbiati dentro le situazioni che riprende. È un procedimento quasi scientifico, un tentativo di analisi e di traduzione del reale che filtra attraverso uno strumento meccanico che però è incapace di sostituirsi alla coscienza umana e pertanto si limita a tradurre un linguaggio sconosciuto in un altro linguaggio altrettanto incomprensibile: l'immagine video non illumina il labirinto del reale fatto di incontri e scontri di corpi ma è continuazione del labirinto stesso. La gabbia si allarga ma non si frantuma e l'amarissima consapevolezza che ne deriva a visione ultimata è che Jasna, e con lei tutti gli adolescenti, possano finire per accontentarsi di quell'illusione patinata, ma artificiale garantita dall'eco di un'immagine che guarda narcisisticamente se stessa senza però dire alcunché.