TRAMA
La vita dei “Clerks” Dante e Randall e del mondo che gli gira intorno, 12 anni dopo.
RECENSIONI
Caro Lettore,
Clerks e il culto che si porta appresso continuano a rappresentare, per chi scrive, l’onda che Kevin Smith si ostina a cavalcare, l’unico elemento che giustifica, e neanche troppo, una carriera che si è stancamente trascinata fino all’opus n°7. Questo terreno fertilizzato un’unica volta è stato però fonte di un microcosmo smaccatamente riconoscibile, declinato in diverse forme, dalla semplice citazione al cammeo (Dogma, Chasing Amy) fino al vero e proprio spin-off (Jay and Silent Bob… Fermate Hollywood), in un insistente continuum di rimandi e sottotracce che si evolvono e che ne fanno una sorta di unicum narrativo, immerso in una dimensione quasi seriale. L'universo in questione sembra avere due estremi fondamentali, ovvero la demenzialità volgare, peraltro raramente riuscita, dell' appena citato spin-off o dello stesso Clerks e la vena riflessiva di Chasing Amy e Jersey Girl, basati su vaghe speculazioni riguardo il concetto di identità, tra negoziazioni del sé ideale e rapporti conflittuali con le etichette sociali: ovviamente, stando al dilungarsi della premessa, Clerks II sintetizza questi poli in quella che parrebbe voler essere un’irriverente variazione sul tema “bilancio senza sconti di un numero variabile di trentenni” del quale non mi pare indispensabile fornire un’accurata filmografia. Mi sembra invece indispensabile, o quantomeno economico, date le magre caratteristiche del film, rifugiarmi nella barbara pratica della recensione-elenco e, visto che da ciò non ho intenzione di esentarvi, ecco qua:
- il tempo comico viaggia al rallentatore, imbeccando un gag riuscito su dieci, solitamente una battuta a sfondo cinematografico (si veda l’imitazione della trilogia de “Il signore degli anelli”) dato che, come se non bastasse, parecchie di quelle a sfondo sessuale si perdono nel doppiaggio e quelle politicamente scorrette non mi paiono affatto radicali, mentre le poche derive slapstick sono, come dire, trascurabili.
- decisamente ridotti gli spunti riflessivi, esemplificati esteticamente dal ritorno, nel finale, al bianco e nero di Clerks I dal colore del II, malinconico sintomo di un passato inestirpabile e ridimensionamento delle ambizioni preconfezionate dalla società in favore di una consapevole ricerca della felicità nelle piccole cose di tutti i giorni (cfr. la scelta di Dante tra Becky e Emma- ma ci si deve pure pensare, dico io?-, lo scontro tra i due protagonisti e il personaggio interpretato da Jason Lee, gli stessi ringraziamenti di Smith sui titoli di coda)
- l’andamento narrativo in generale risulta fiacco, costruito su quadretti slegati e assemblati in un’irrisolta continuità temporale, tanto da confondere lo spettatore che legittimamente si pone la domanda, necessaria anche nella comprensione dello sviluppo tramico, “Quanto tempo è passato?”
- il riferimento estetico più immediato è, al solito, il fumetto, sia nella composizione del quadro che nella fotografia, ma appena Smith cerca di emanciparsene perde in coerenza stilistica e in adesione alla narrazione, cadendo per lo più fuori tono (cfr. la macchina a mano che riprende Jay e Silent Bob, la panoramica circolare continuamente spezzata durante il litigio tra Dante e Randall).
- un’ultima constatazione, di chiara matrice mollichiana: Rosario Dawson è bella (molto) e brava (forse).
Non avendo altro da aggiungere, caro lettore, ti saluto, confidando nella tua comprensione e rinviandoti a recensioni meno irritanti e irritate.
A presto,