Documentario, Recensione

CITY HALL

Titolo OriginaleCity Hall
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2020
Durata275'
Fotografia

TRAMA

Il Comune di Boston da ogni angolazione possibile. Il suo sindaco Martin Walsh.

RECENSIONI

A un certo punto di City Hall, nella prima parte, incastonato tra riunioni e processi burocratici all’improvviso vediamo un matrimonio gay. Due donne vengono sposate da una funzionaria del Comune, la scena è solo femminile. «To be my wedding wife», la formula adottata, e alla fine la dipendente pubblica si commuove. Una piccola ripresa, tecnicamente “estratta” dalla realtà, che consegna il senso di cos’è il cinema di Frederick Wiseman e quale altezza può raggiungere. Così, di colpo, senza avvertire prima. Wiseman a 90 anni entra nel Comune di Boston: la sua città che ha lasciato, a cui torna proprio ora nella terza età, in un movimento a elastico verso le origini. D’altronde la pratica entomologica del regista, prima o poi, non poteva che applicarsi a Boston: appostarsi nel municipio per quattro settimane e centinaia di ore di girato, poi distillate in sede di montaggio. Il risultato è un film definitivo: perché City Hall contiene molti titoli di Wiseman, da Welfare a High School I e II, da Public Housing ai film sulle città, e li riscrive dentro il macrocosmo del comune bostoniano. L’idea del regista era mostrare il suo funzionamento: come sempre l’oggetto considerato diventa una sfera da rigirare tra le mani, dai minimi ai massimi livelli, dai lavoratori delle pulizie e del call center fino all’attività della giunta e dei consiglieri. Quell’idea però incontra il reale e ne esce riformata. City Hall è infatti l’unico film di Wiseman con un protagonista: il sindaco di Boston Martin Walsh, che la macchina da presa riprende nella sua attività quotidiana. «Non conoscevo il sindaco - dice il regista -, ma quando l’ho incontrato e ho visto cosa faceva abbiamo cominciato a seguirlo». Walsh, di origine irlandese, ex alcolizzato e guarito dal cancro, persegue una tenace politica a favore delle minoranze con l’obiettivo della totale integrazione.

Attenzione: se Walsh con il suo lavoro conquista spesso il centro della scena, allo stesso tempo la coralità del City Hall viene rigorosamente rispettata. Boston è perlustrata nei suoi quartieri, soprattutto quelli più difficili, per esempio assistiamo a un lungo confronto tra un imprenditore e gli abitanti sull’opportunità di aprire un negozio di cannabis legale in periferia. Aumenterà l’occupazione o la criminalità? La questione è aperta, il punto è la sua discussione. La registrazione della democrazia al lavoro. Perché, come sempre in Wiseman, l’esercizio democratico viene mostrato a due livelli: dentro e fuori dal film. Dentro, con l’osservazione di persone che parlano di temi, si confrontano e scontrano, intavolano riunioni anche sfiancanti («È un film parlato perché i politici parlano»). Fuori, perché la democrazia si intravede in controluce nella costruzione del film: Wiseman include “tutti” nel rettangolo dello schermo, basti vedere la magnifica sequenza degli spazzini che con pazienza e metodo puliscono la città. Anche il grande camion della spazzatura merita un’inquadratura. Il cinema wisemaniano resta di rigore radicale, cristallino, luminoso. Ma quello che colpisce in particolare, nei 272 minuti di City Hall, è una sorta di variazione preterintenzionale nel suo punto di arrivo: qui l’oggettività diventa sempre più “soggettiva”, seppure rispettando la nota tecnica che prevede l’osservazione scientifica della realtà. In altre parole, il film non vuole essere un antidoto a Trump ma lo diventa imprimendo il reale, ciò che si trova davanti all’obiettivo. Nel piano di edilizia popolare a favore dei più deboli scorre per contrasto l’indifferenza. Nell’accoglienza dei migranti si leggono i muri. Nella strategia inclusiva di Wiseman si pensa all’esclusione. Dice il sindaco Walsh: «Qui rappresentiamo tutte le etnie, le razze e le religioni». Vale anche per questo cinema che, per il solo fatto di esserci, fa sembrare il suo contrario impensabile, grottesco, fuori luogo.