Commedia, MUBI, Recensione

CHEVALIER

Titolo OriginaleChevalier
NazioneGrecia, U.K.
Anno Produzione2015
Genere
Durata99'
Scenografia

TRAMA

Nel mezzo del mar Egeo, sei uomini di ritorno da una battuta di pesca su uno yacht di lusso decidono di intraprendere un gioco. In una gara di paragoni senza regole e senza limiti, gli amici iniziano a giudicarsi su una serie di abilità e caratteristiche per eleggere infine il migliore. Così, montano mobili Ikea, si interrogano su ricette o sui valori del colesterolo, si danno voti su come camminano, come si vestono, come dormono, si mettono alla prova nel canto, nelle immersioni subacquee, fino alle più intime dimostrazioni fisiche. Alla fine del gioco e del viaggio, il migliore si aggiudica l’anello della vittoria, lo Chevalier.

RECENSIONI

La monumentale parete rocciosa che, nella prima inquadratura di Chevalier, chiude la spiaggia raggiunta a nuoto dai protagonisti, sembra incarnare una folgorante immagine che Kafka, riflettendo su Prometeo, ha dedicato al mito: «ci si stancò di ciò che ormai aveva perduto il suo senso. Si stancarono gli dei, si stancarono le aquile, la ferita – stanca – si richiuse. Restò l’inesplicabile montagna di roccia». Abbassato l’orizzonte fisico ed epico al livello di un parapetto tirato a lucido, resta nel cinema di Athina Rachel Tsangari l’uomo contemporaneo, borghese, che la regista osserva con lo sguardo analitico e interrogativo di uno scienziato (Attenberg, titolo del precedente film di Tsangari, è storpiatura di Attenborough, David, noto naturalista britannico). In Chevalier, il campo ristretto di una crociera di sei maschi in yacht permette di scandagliare il genere nel suo habitus caratteristico: quello della competizione maschile, mascherata da gioco – lo Chevalier del titolo – per eleggere «il migliore» dei sei. Ma a dispetto del nome evocativo, la partita è grottesca come la lotta tra maschi alfa per il vertice di una comunità senza femmine. Ciò che conta allora, e che paradossalmente “tiene a galla” il gruppo e la sua immagine, che definisce la sua identità – e quella della commedia – e ne garantisce la sopravvivenza, è la totale devozione dei singoli alla lotta, la loro piena adesione alla reciproca ostilità. Il racconto di un’unione armonica di maschi, di uno stare insieme nonostante la qualità triviale e arbitraria del loro gioco (fa punteggio, per esempio, la buona/cattiva postura notturna), condividendo il progetto di intrattenersi e intrattenere con la prevaricazione reciproca. È questo ridicolo lieto fine a fare del film una commedia riuscita.