TRAMA
Racconto della nascita di un simbolo dal movimento del 26 luglio e la rivoluzione cubana (parte I) alla misteriosa fuga e l’esperienza in Bolivia (parte II)
RECENSIONI
È particolarmente difficile trovare e presentare un'unica chiave interpretativa del Che di Soderbergh per il quale, data la sua complessità strutturale, si potrebbe cadere nella tentazione, cui, nonostante tutto, credo non bisogni cedere, di considerarlo come due film separati e relativamente autonomi; stupisce, infatti, che dietro il grigio L'argentino ci sia la stessa mano autrice di un Guerriglia così esaltante. Sia chiaro: non è tanto lo stile a essere diverso; più che altro, presente nel secondo, nel primo sembra mancare il rispetto di una norma tra le più antiche che regolano la composizione artistica ovvero la corrispondenza materia/stile; sembra, cioè, che Soderbergh adatti passivamente all'Argentino modalità stilistiche elaborate per Guerriglia e solo per quello valide.
Le due situazioni narrative, l'esperienza a Cuba e quella in Bolivia, presentano caratteristiche diverse nell'intimo della loro struttura: la prima è la celebrazione del trionfo dell'Idea nella sua progettualità condivisa (di cui Soderbergh sottolinea non l'elaborazione ideologica, ma la fatica del lavoro quotidiano che ne permette la riuscita: la preparazione degli accampamenti, la riflessione tattica, la conquista dell'isola paese dopo paese, casa dopo casa); la seconda di quell'Idea ne abbraccia il fallimento, ne constata l'essere e rimanere straniera a chi ne è parte fondamentale [1]. Toni e atmosfere diverse, dunque, che Soderbergh adatta entro un medesimo taglio stilistico - quello di una narrazione fredda, composta, aderente agli avvenimenti con piglio quasi naturalistico, privo di un'istanza interpretativa interna al testo che costituisca il filo conduttore o, in termini più generici, la lettura di una vicenda storica - che dà vita, però, a esiti, anche sul piano qualitativo, affatto conformi. L'argentino si risolve in una monumentalità fine a sé stessa e il distacco della regia rinchiude il film in un non-essere in cui tutti gli spunti creativi [2] sono sacrificati alla fattualità della narrazione che conferisce alla prima parte del Che un carattere scultoreo più che filmico: sembra di trovarsi davanti a una di quelle colonne celebrative delle vittoriose campagne belliche degli imperatori di Roma i cui bassorilievi sono materiati di fatti e della loro oggettività per un ovvio fine monumentario, cioè, secondo il significato etimologico del termine, per ricordare; allo stesso modo L'argentino sottomette tutti gli elementi formali a quella che sembra l'unica ragion d'essere del film: ricordare una storia così come è stata, spogliata di ogni ideologismo e anzi si può ben dire che la sola lettura portata avanti con decisione è il rifiuto di letture.
Guerriglia, al contrario, ha un respiro e una compiutezza che ne permette senza dubbio anche una fruizione autonoma; qui la freddezza della regia diventa stile nel senso più ampio, ovvero modalità di racconto che accoglie entro di sé gli spunti più diversi, le sfumature di senso secondarie: un complesso di forze centrifughe rispetto all'asse portante del racconto - che resta lo stesso: il monumentum - mai sacrificate in virtù di questo. Grazie alle tante deviazioni - che possono essere anche molto piccole, limitate a una scena, come il meraviglioso quadro familiare di casa Guevara tra Cuba e la Bolivia - ovvero grazie alla regia che qui, pur conservando quella imparzialità che è senza dubbio la cifra dellintera opera, riesce a metterle in evidenza, sottolineandole ora con una sintassi ellittica che rompe per qualche istante la regolarità narrativa, ora con riprese suggestive e dense di significato [3], in Guerriglia la Storia si fa Tema, o meglio, Temi, aprendosi a una varietà di suggestioni e di stratificazioni semantiche che non si impongono come letture univoche, ma che creano problemi. La differenza con L'argentino è forse qui: in Guerriglia la Storia non si dà come fatti, ma come problemi: se L'argentino è solo il racconto di ciò che è stato, Guerriglia condensa in sé anche le possibilità di ciò che poteva essere, vale a dire l'Altro di ciò che è stato. Visto nel suo complesso, dunque, Che è tutt'altro che il film della non-lettura, un non-film, ma al contrario, proprio in virtù della polisemia che apre, un grande affresco storico di cui, concludendo, aldilà delle molteplici letture possibili, preme qui mettere in rilievo il tema di fondo, attorno a cui tutta l'opera sembra ruotare ma che solo nella seconda parte emerge nella sua potenza: l'Ideale, nella pluralità delle sue implicazioni, teoriche (immaginare una società diversa) e pratiche (mettere in atto un progetto per realizzarla), individuali (il problema dell'uomo che sceglie la rivoluzione come mestiere [4] sacrificando famiglia e posizione con una scelta che prima che nell'utopia sociale, è e acquista senso nella lotta, nel suo farsi, nell'essere mestiere, appunto [5]) e collettive (lo scontro con la Realtà che qui si risolve in una struttura drammatica che, più che con il film biografico, ha a che fare con la tragedia shakespeariana, destinato com'è a concludersi con l'annegamento dell'Idea che cade tra la gente come parola morta) di cui la vicenda di Guevara, nel racconto di Soderbergh, diventa un simbolo altamente suggestivo.
Stupenda la canzone conclusiva.