- Olivier Assayas
- Bille August
- Jane Campion
- Youssef Chahine
- Kaige Chen
- Michael Cimino
- Ethan Coen
- Joel Coen
- David Cronenberg
- Jean-Pierre Dardenne
- Luc Dardenne
- Manoel De Oliveira
- Raymond Depardon
- Atom Egoyan
- Amos Gitai
- Hsiao-Hsien Hou
- Alejandro González Iñárritu
- Aki Kaurismäki
- Abbas Kiarostami
- Takeshi Kitano
- Andrej Končalovskij
- Claude Lelouch
- Ken Loach
- David Lynch
- Nanni Moretti
- Roman Polanski
- Raúl Ruiz
- Walter Salles
- Elia Suleiman
- Gus Van Sant
- Lars von Trier
- Wim Wenders
- Kar-wai Wong
- Yimou Zhang
- Ming-Liang Tsai
- Theo Angelopoulos
TRAMA
RECENSIONI
Pout Pourri
A ciascuno il proprio cinema. E’ con questa esortazione quanto mai reale che Gilles Jacob ha organizzato il progetto di Chacun son Cinema o (Ce petit coup au coeur quand la lumière s'éteint et que le film commende, che tradotto suona come “quel piccolo tuffo al cuore quando le luci si spengono e inizia il film), da lui prodotto per festeggiare il 60 anniversario della nascita del Festival di Cannes. Il film è costituito da 33 cortometraggi girati da 35 registi (bisogna considerare le coppie di fratelli Coen e Dardenne) che hanno vinto nel corso dei sessant’anni di vita del Festival la Palma d’Oro e racchiude nei suoi diversi frammenti di cinema un’idea tanto ambiziosa quanto affascinante: raccontare l’emozione del cinema, la magia della sala e dello schermo attraverso il linguaggio di artisti che prima ancora di essere autori si nutrono come ogni altro spettatore di quella sconcertante materia dell’incantesimo del cinema.
L’emozione e l’emotività insita nel cinema trova la sua massima espressione nei sintetici percorsi narrativi o evocativi costruiti dai vari registi: e se l’episodio di Hou Hsiao-Hsien indaga il presente e il passato del cinema raccontando in 4 minuti la gloria color rosso del velluto di una sala cinematografica e il suo successivo e rovinoso abbandono al presente, Polanski gioca con irriverenza sulle incredibili situazioni che il cinema riesce a creare, portando sullo schermo la sottile comicità di un’incomprensione “erotica”. Chacun son cinema diventa un delizioso viaggio alla ricerca della riconoscibilità dei timbri stilistici, un gioco per appassionati e un vortice di tratti distintivi: fra i più fedeli ai proprio tratti caratterizzanti c’è sicuramente l’algido e poetico Kaürismaki, impegnato a descrivere il cinema come intermezzo nel lavoro in una fonderia, ma soprattutto Tsai Ming-Liang, che sfiora con delicata maestria i temi e i simboli della sensualità del suo fare cinema e Wong Kar-Wai, che segue un’odissea di mani che si intrecciano e si incontrano durante la proiezione di un film, un viaggio di carezze e di passione suggellato dal buio della sala. Particolarmente ironici e “vissuti” i corti di Lars Von Trier (che dà finalmente voce e volto a tutti coloro che ucciderebbero gli spettatori che parlano e disturbano durante le proiezioni) e di Nanni Moretti che nel suo episodio ripercorre una vita trascorsa in sala da spettatore.
Si tinge invece di inquietante ironia “At the suicide of the last Jew in the world in the last cinema of the world” di Cronenberg, pessimistica visione sul futuro del cinema e del mondo in generale, restituendo una parentesi angosciosamente brillante della società dei media che uccide la poesia del cinema in funzione della rappresentazione “in diretta”. Non c’è nulla di originale invece nell’episodio di Gitai, che racconta un attentato in un cinema di Haifa, sorvolando in pochi minuti l’arco di storia che va dall’Olocausto ai giorni nostri; altrettanto prevedibile è anche il corto di Zhang Yimou, sull’attesa per l’inizio della proiezione, che ha però dalla sua parte la poeticità del piccolo villaggio cinese “illuminato” dall’arrivo del proiettore (il mondo fa il suo ingresso nella comunità attraverso lo schermo). E se Kiarostami e Inarritu si concentrano sulle lacrime al cinema, i fratelli Dardenne puntano sulla poeticità di un ladruncolo coperto dal buio della sala: le mani una dietro all’altra, quasi come se sfiorassero appena il pavimento di moquette, i movimenti lenti e silenziosissimi quasi come se più che proteggere l’azione poco nobile questi fossero destinati a mantenere intatta l’atmosfera del cinema stesso (e la spettatrice a sua volta non fa una piega e si asciuga le lacrime con la mano del ladruncolo). All’omaggio alla storia del cinema sono invece dedicati il corto di Konchalovsky (con l’orgasmica esperienza -in senso stretto- della coppietta nel buio della sala cinematografica e della appassionata e commossa spettatrice di “8 ½” di Fellini) e quello di Theodoros Angelopoulos, dove si consuma il ricordo di Marcello Mastroianni nelle parole di Jeanne Moreau.
L’aspetto più onirico e delirante del cinema è affidato al surreale episodio di Jane Campion, ma non dobbiamo dimenticare che nella versione destinata alla proiezione cinematografica il grande assente è David Lynch: il suo "Absurda" (facilmente reperibile e che verrà compreso nell’edizione dvd del film) sforbicia l’esperienza cinematografica fra volti deformi ed inquietanti ballerine.
Gus Van Sant filtra attraverso l’esperienza metacinematografica il primo bacio, mentre Kitano –geniale e autoironico come sempre- si appassiona alla storia di uno spettatore “sfortunato”, Walter Salles sottolinea la distanza tra il Festival di Cannes e il Brasile con un improbabile evoluzione musicale e De Oliveira scherza con un assurdo e divertente incontro tra il Papa e Kruschev.
Multietnico, altalenante, commovente, spassoso, banale e sorprendente, Chacun son Cinema non è incasellabile in nessuno schema e trova nella sincerità del racconto dei suoi registi la chiave di lettura per l’arte del cinema. Un film che celebra l’amore per il cinema, il cinema come amore, come passione, come follia, come sensorialità, come percezione, come elemento di aggregazione, come sesso, come leit motiv della storia. Il cinema come filtro della vita.
Priscilla Caporro