TRAMA
Mario, un uomo senza grandi ambizioni, deve ricominciare dopo che sua moglie se n’è andata di casa, ritrovandosi solo a gestire due figlie adolescenti e una crisi personale.
RECENSIONI
In una piccola città (Forbach) la vita sentimentale di Mario va in pezzi: la moglie lo ha lasciato, le due figlie adolescenti sono distanti, la maggiore sta per partire e la minore incolpa il padre della separazione mentre si scopre omosessuale. Ha il cinema indipendente nel sangue, Claire Burger: all’esordio da sola al lungometraggio, dopo Party Girl girato con Marie Amachoukeli-Barsacq e Samuel Theis, si posiziona lontano dai grandi centri, scegliendo una comunità di ventimila abitanti nella Francia orientale. Declinazione della crisi dell’uomo di mezza età, e del rapporto complesso col mondo intorno, C’est ça l’amour sceglie il tono ordinario e grigio cucito sulle spalle di un magnifico Bouli Lanners. Mostra una rottura di coppia con figli: se un film incensato (troppo) a Venezia 2017, L’affido, allestiva lo scivolamento di un padre nella violenza, si lascia preferire questa messinscena dimessa a mezze tinte, in cui non accade il fatto clamoroso ma si organizza - semplicemente - la ricostruzione di sé.
Mario cerca invano un contatto con la moglie, un dialogo con la figlia più piccola: non è fallito né illuminato, bensì un personaggio comune che vuole ripartire. Con la possibilità di un nuovo amore. Ma soprattutto, nella scena chiave, con una sequenza di riconciliazione familiare mirabilmente scritta ed eseguita: Mario prende una pasticca, a sua insaputa, e solo con la percezione alterata trova un paradossale contatto, un abbraccio in iperbole. Ora si tratta di trasportarlo nella lucida realtà. Al netto di alcuni stereotipi (il ruolo sfacciato del teatro) C’est ça l’amour è storia di un uomo che lotta per tenere tre donne a cui non può rinunciare, riconoscendo così la loro centralità nella sua esistenza, non esplicita ma sottintesa nel racconto, e qui lo sguardo femminile di Burger assume una sfumatura quasi femminista.