Western

C’ERA UNA VOLTA IN MESSICO

Titolo OriginaleOnce Upon a Time in Mexico
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2003
Genere
Durata97'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

El Mariachi è tornato: arruolato da Sands, un agente corrotto della CIA, deve fermare una banda che sta organizzando un colpo di stato ai danni del presidente del Messico.

RECENSIONI

L'incontro tra Robert Rodriguez e Quentin Tarantino ha prodotto fin "Dal tramonto all'alba" uno stile inconfondibile, dove l'ironia sfuma nel cinismo e la narrazione procede per siparietti sovraeccitati. Alla base una grande voglia di divertirsi e di giocare con i clichè cinematografici demolendo e/o rinvigorendo il mito. Questa volta a farne le spese sono gli eroi tutti d'un pezzo delle epopee western, già nelle mire del giovane regista americano dai tempi del fulminante esordio con "El Mariachi" e del suo rifacimento ad alto budget "Desperado". L'ipotetica trilogia trova in "C'era una volta in Messico" degna conclusione. La storia è un susseguirsi infinito di doppi giochi e tradimenti: ogni volta che sembra di avere individuato il "cattivo" ecco che compare un personaggio ancora più crudele e dissoluto. Si uccide senza pietà e il gioco si tinge frequentemente di rosso con un certo gusto, ormai risaputo, per l'esibizione. Il pasticcio funziona perché sembra non prendersi mai sul serio, con una leggerezza che finisce per diventare contagioso divertimento, anche se il finale, con Banderas avvolto nella bandiera messicana, qualche dubbio lo insinua. Rodriguez, oltre che talento factotum (dirige il film, ha scritto soggetto e sceneggiatura e si è occupato della fotografia e del montaggio), conferma le sue doti di brillante intrattenitore, capace di conciliare la tecnica con il racconto: spassosa la fuga tra i tetti di Antonio Banderas e Salma Hayek incatenati, meno riuscito il fumettistico inseguimento tra moto, un po' ripetitive (oltre che palesemente finte) le esplosioni digitali.
Nel cast stellare che il regista è riuscito a riunire per la sua scorribanda cinefila, primeggia il versatile Johnny Depp (pronto, nel finale, per un bio-pic su Michael Jackson) mentre Banderas con capello liscio sembra sempre sul punto di intonare "il triangolo no". Tra i ruoli minori bamboleggia Enrique Iglesias, conferma in poche battute il suo carisma Willem Defoe, si fa notare la bellezza di Eva Mendes, è inquadrata dal lato giusto Salma Hayek e torna in una piccola parte il redivivo e segnato Mickey Rourke. Marco Leonardi ha, per fortuna, poche battute. Determinante il contributo sonoro, derivante anch'esso da un gioco di squadra a cui gli attori si sono prestati con entusiasmo. Molte canzoni sono infatti composte e cantate dagli interpreti del film, traendo spunto dalle intramontabili sonorità di Morricone.

Il regista viene dai fumetti e applica l'iperbole del comic alle sue immagini, enfatizza la violenza rendendola funambolismo coreografico ma quest'ennesima variazione (?) prosecuzione sull'dell'ormai strasfruttato tema de El Mariachi si risolve in un (rutilante quanto si vuole ma alquanto scontato) fuoco di fila di sparatorie acrobazie inseguimenti + canzonette nel più puro Rodriguez style, senza grossa inventiva, qualche sorriso, un pugno di ideuzze carine (su tutte la sequenza di Banderas e la Hayek ammanettati che zompettano da un balcone all'altro) e molti sbadigli. Nessuna grossa novità per una pellicola in cui le cose migliori vengono dalla definizione dei caratteri di contorno: un ritrovato e autocanzonatorio Mickey Rourke con chiuaua al seguito, un Dafoe adeguatamente viscido, un Johnny Depp dotato di protesi utilissima all'occorenza.
Narrazione frammentata, flashback a manetta, richiami ai precedenti della saga, intrighi e chiacchiericcio scioccherello in libertà: l'esercizio, girato in digitale, omaggio dichiarato allo spaghetti western leoniano (del quale si rinviene ben poco), funziona a metà, gli effetti in computer grafica si autodenunciano clamorosamente, l'atmosfera da cult a tutti i costi appesantisce il ricercato disincanto.