Commedia, Giallo, Recensione

CENA CON DELITTO

TRAMA

Il celebre e ricchissimo scrittore di romanzi gialli Harlan Thrombey viene trovato morto poco dopo i festeggiamenti per il suo ottantacinquesimo compleanno. Sembra un suicidio, ma lo sarà davvero? Tutti i membri della sua disfunzionale famiglia potrebbero trarre vantaggi dalla sua morte. A indagare sul caso l’investigatore privato Benoît Blanc insieme a due poliziotti.

RECENSIONI

Il giallo deduttivo è un genere intramontabile perché, se ben condotto, consente allo spettatore di partecipare attivamente alla soluzione di un mistero in cui almeno una è la vittima, molti sono i sospettati e la ricerca dell’assassino passa attraverso indizi, piste false e colpi di scena. L’intrattenimento, se la costruzione del racconto è intricata ma comprensibile e congruente, condotta mantenendo alta la curiosità e scandita attraverso una progressione ritmata, è garantito. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi. Ryan Johnson, in pausa dall’universo Star Wars (è il regista di Star Wars: Gli ultimi Jedi e scriverà e dirigerà il primo film della nuova futura trilogia), riesce nella tutt’altro che scontata impresa bilanciando con armonia le tante parti coinvolte. Questione prima di tutto di scrittura, attenta a calibrare in modo certosino le informazioni da dare ai personaggi e da centellinare al pubblico per creare un incedere efficace, in grado di moltiplicare gli interrogativi senza però far perdere il filo del racconto. In questo caso il lavoro è particolarmente accurato, con un ottimo rilancio a metà film in cui l’indagine sembra solo apparentemente conclusa e invece tutto è ancora da scoprire. Perfettamente funzionanti, poi, gli incastri tra i differenti livelli di consapevolezza dei personaggi, in cui ognuno conosce una parte, ma gli unici a mettere insieme tutti i tasselli siamo noi spettatori che finiamo sempre per saperne più di loro. La regia sfrutta le scenografie con estro, dalla magione che richiama la casa del gioco da tavolo Cluedo (con tanto di autocitazione), al trono di pugnali (o spade?) che diventa luogo iconico per gli interrogatori e sorta di palco su cui i personaggi si esibiscono recitando la loro verità.

Il mistero è stratificato e, come ci spiega l’enigmatico investigatore interpretato da un ironico Daniel Craig (una sorta di Poirot d’oltreoceano), prende la forma di una ciambella che contiene a sua volta un’altra ciambella più piccola. Quanto ai personaggi, elementi cardine per la costruzione di un racconto strutturalmente solido, nessuno è davvero irresistibile, ma tutti (tranne la moglie del figlio Walt) sono caratterizzati a dovere e funzionali a ravvivare la coralità prevista dal genere, oltre che ben interpretati da un cast all star in buona alchimia. A distinguersi, considerando anche il minutaggio a lei dedicato, è soprattutto Ana de Armas, sulle cui spalle finisce per poggiare gran parte del film (la vedremo di nuovo in coppia con Daniel Craig nel 25° James Bond). Interessante anche la piega politica che prende la vicenda attraverso l’inserimento, in modo non solo esornativo, del tema dell’immigrazione e della sua differente percezione all’interno degli appartenenti alla grande famiglia. Una satira dell’America contemporanea il cui esito, nel riposizionare ragioni e torti, fa soffiare un vento di rivincita democratica sul copione. Tra Agatha Christie e le sue tante trasposizioni cinematografiche, ma senza dimenticare Gosford Park, il gioco, perché di gioco si tratta, scivola leggero, avvincente e imprevedibile, in alcuni casi seguendo regole e cliché del genere, in altri sovvertendoli. Potrebbe diventare un nuovo classico. Il titolo originale knives out, letteralmente “fuori i coltelli”, è da intendersi come “essere ai ferri corti”, mentre quello italiano rimanda a illustri precedenti (Invito a cena con delitto e Signori il delitto è servito su tutti), ma oltre che un po’ a ingannevole (non c’è nessuna cena con delitto) è anche depistante, perché non di parodia si tratta.