Musical, Netflix, Recensione

CATS

Titolo OriginaleCats
NazioneU.K., U.S.A.
Anno Produzione2019
Genere
Durata102'
Sceneggiatura
Basatosull'omonimo musical di Andrew Lloyd Webber e sul testo Il libro dei gatti tuttofare di T. S. Eliot
Scenografia

TRAMA

I gatti del quartiere di Jellicle si riuniscono come ogni anno per festeggiare il loro capo, Old Deuteronomy, che sceglierà chi avrà il diritto di ascendere all’Heaviside Layer, il paradiso dei gatti, per rinascere a nuova vita.

RECENSIONI

Il cinema ha il potere di rendere credibile qualsiasi cosa, avvicinarci all’impossibile, trasportarci in mondi e dimensioni che con la realtà non hanno nulla da spartire, quindi la scelta, a lungo discussa, di portare sul grande schermo Cats sembrava perfetta. Un punto di vista felino sul mondo tratto dall’omonimo, celeberrimo, musical di Andrew Lloyd Webber, a sua volta ispirato da Il libro dei gatti tuttofare di T. S. Eliot. Una storia non storia in cui non sono i fatti che contano, in fondo accade ben poco, una sorta di talent dove in palio c’è la possibilità di rinascere a nuova vita, eppure in grado di distrarci da noi stessi a ritmo di musica. Probabilmente si è pensato che se tutto ciò funzionava sul palco di un teatro avrebbe potuto benissimo funzionare anche al cinema. La scelta di Tom Hooper, dopo la riuscita trasposizione di un altro musical arcinoto come Les Misérables, sembrava perfetta, il supporto dello stesso Andrew Lloyd Webber una benedizione, la partecipazione di una star della musica come Taylor Swift (co-autrice insieme a Webber della nuova canzone Beautiful Ghosts) la ciliegina sulla torta. Invece è andata diversamente e il film si è rivelato un fallimento artistico e un flop al botteghino.

Le cause sono molteplici. Degli effetti speciali si è molto parlato perché, criticati a partire dal trailer, hanno spinto la Universal a sostituire, a pochi giorni dal debutto in U.S.A., la versione già proiettata nelle sale con una nuova con effetti visivi migliorati. Non si può che constatarne lo stridore perché peli, code e orecchie da gatto mal si amalgamano con mani umane e scarpe da tennis. Non va meglio con le canzoni che si faticano a riconoscere per colpa di arrangiamenti che uniformano melodie mitiche rendendole un impasto indistinto (la stessa Memory” passa e va senza lasciare traccia). Si tenta la carta del nuovo rispetto al musical modificando il sesso dell’anziano capo dei gatti Old Deuteronomy, interpretato per l’occasione da Judi Dench, ma il trucco dell’attrice è davvero imbarazzante, la resa canora discutibile e gli esiti grotteschi. Se a questo si aggiungono una comicità fracassona che tutto fa meno che indurre al sorriso, un cattivo il cui agire pare insensato, scenografie quinte di un teatro en plein air e palesemente fasulle, un montaggio convulso che taglia in continuazione prediligendo il dettaglio all’insieme e una sceneggiatura che fatica a caratterizzare i personaggi dando un senso alle loro motivazioni, il disastro è completo. Il colpo di grazia è però dovuto alle scelte di regia che non optano mai per il quadro d’insieme ma scelgono di frammentare senza sosta, con un ritmo che diventa caos e impedisce di predisporsi all’incanto, perché interrompe coreografie e sequenze di ballo invece di supportarle.

Se l’insieme non funziona, però, la ragione è soprattutto una: l’idea di fondo, sottesa al progetto, che per trasporre il teatro al cinema sia sufficiente mettere in scena il musical come se fosse a teatro inserendo però sferzate di dinamismo. Se sei al Winter Garden di New York in cui il sipario non c’è, i confini tra palco e platea sono sfumati e l’inizio è fuori scena, l’impatto è subito travolgente, per non dire del resto dove un’orchestra dal vivo valorizza le differenti vocalità e i numeri musicali hanno modo di potersi gustare nel loro insieme, spettacolare, colorato e divertente. Tutto ciò riproposto sul grande schermo, che vive anche (ma non solo) di dettagli, genera invece un blackout che diventa una mascherata senza capo né coda, perché quei dettagli non funzionano e l’insieme non si riesce a gustare mai. Davvero un peccato.