TRAMA
“Ace” Rothstein è un giocatore, precisino e controllato, i bravi ragazzi gli affidano la direzione del Tangiers – un casinò – di Las Vegas; non potrà però controllare un amico, piccoletto e violento, ed una donna, bella quanto portatrice di rogne, che rovineranno loro stessi e l’ascesa al potere nonché i sogni “borghesi” di Rothstein.
RECENSIONI
Scorsese arriva nel deserto del Nevada dove spunta l'orizzontale albero natalizio che è Las Vegas, mausoleo all'inconsistenza, inno allo sperpero umano oltre che monetario, come Coppola vent'anni prima con il secondo capitolo de "Il Padrino", da una prospettiva quanto mai lontana racconta, con passione ispirata, del legame tra la Mafia, e soprattutto gli uomini, ed il gioco d'azzardo. Cadaveri e buche circondano una città che è cimitero in cui si muovono uomini, ridotti a veicoli per i veri protagonisti di quei luoghi, i soldi, verdi banconote svolazzano su verdi tavoli da gioco, corrono da un capo all'altro degli Stati Uniti, inseguiti come i velleitari sogni di purezza di Sam Rothstein e com'essi sfuggenti, pronti a cambiare di mano seguendo il lento, un'eternità nel gesto, rotolare di rossi dadi da gioco. I rapporti umani si riducono al primitivo, violenza amore ed amicizia sono carnali, ciechi come i brucianti scatti omicidi di Joe Pesci - arrogante gangsterucolo privo di freni - capace d'ammazzare a colpi di penna un uomo al bancone di un bar per un motivo qualunque; nessuna provocazione morale, si scivola senza mai atterrare nelle luci e nei colori di una messa in scena mai ovvia, lucida ed emotiva seguendo parole, storie parallele, intrecci di cose e persone strapazzate dal vento dell'ambizione e della propria pochezza.
Il dramma di un'esistenza, quella di Asso, che nulla è, in realtà, che ricerca dell'ascesa, della rivincita ma sempre frustrata, schiacciata: la morte è sollievo per i miseri ma non gli sarà concessa, ridotto a piccolo contabile dimenticato, solo i suoi completi in tinta, perfetti e lindi lo distinguono dalla folla di turisti a Las Vegas.
Quando la tecnica registica di Scorsese non è fine a se stessa (si vedano Kundun e Al di Là della Vita) dimensioni sonore, visive ed anche viscerali si spalancano, con la naturalezza di poche altre occasioni, Goodfellas - con gli stessi sceneggiatori Scorsese e Pileggi, forse Fuori Orario, ma qui l'affresco si carica d'una espressività prepotente anche per merito un cast brillante: De Niro nella sua, per ora, ultima grande interpretazione (nello stesso anno anche Heat lo trova ben in forma), Pesci solo un gradino più in basso della sua prova di "Quei bravi Ragazzi", Sharon Stone che riesce a cucirsi addosso con insospettata sensibilità la parte della donna di Rothstein, sua più grande sconfitta e rovina, e James Woods. Una menzione particolare meritano i titoli di Saul Bass che racchiudono Casinò, con rara coerenza estetica, in una fiammata di colore e morte in moto perpetuo e l'impietosa esecuzione di Pesci.
Un'altra inchiesta sulla malavita dell'accoppiata Scorsese/Pileggi (sceneggiatore di Quei Bravi Ragazzi): si narra di figure realmente esistite e del loro “impero” dal 1973 al 1983. Con le perenni (e pesanti) “voci off" di commento si sfiora la docu-fiction in cui le opposte "etnie" (italiani, irlandesi, texani, ebrei), identificate con precisi luoghi geografici e sistemi di valori, sono osservate nell’ideale isola del vizio, una Las Vegas opulenta e kitsch (magnifiche e debordanti le scenografie di Dante Ferretti, con controcanto dei pacchiani abiti indossati da De Niro), atta a macinare capitali istituzionalizzando una truffa sicura (il gioco d'azzardo). Il dio-denaro con la sua influenza negativa è analizzato da Scorsese anche attraverso la figura totalmente materialista del personaggio di Sharon Stone (eccellente la sua prova da tossicodipendente) che, come la figura di Joe Pesci (il personaggio più magnetico del film: divertente e, allo stesso tempo, agghiacciante, protagonista delle proverbiali esplosioni di violenza scorsesiane), subisce il fascino perverso di un luogo quasi maledetto che porta i suoi abitanti al delirio. Il punto di vista da "entomologo" opera un forte distacco dalla materia narrata e quest’ultima è spezzettata in tanti rivoli episodici, con un contenuto "moralistico" ripetitivo che genera una somma di parti eccelse, piuttosto che una drammaturgia compiuta e coinvolgente, epica ed emozionante nel suo climax. Ci sono innumerevoli sfaccettature ed implicazioni nell'analisi psicologica di un ambiente e dei suoi personaggi/simbolo (Pesci è il tipico malavitoso individualista, rappresenta il gangsterismo al tramonto; De Niro è quello nascente, “pulito” e aziendale, ossessionato dal controllo e/ma inguaribile giocatore d’azzardo, anche nel matrimonio), la struttura è cioè complessa, sorprendente come può esserlo un'espressione algebrica, dove l'autore si dà anche ai virtuosismi (la steadycam che replica la fluidità dello sguardo umano, la soggettiva di una sniffata di coca), usa il ralenti per sottolineare gli stati d’animo, tocchi di umor nero (i decrepiti mafiosi con bombole d’ossigeno al processo) e la solita citazione cinefila (Come le Foglie al Vento). Grandi il tema musicale originale e i titoli di testa di Saul Bass. Ma tre ore al freddo sono lunghe.