Cartoline da Cannes (20-21 maggio)

Ultimi film in concorsoUltima cartolina dalla Croisette, breve flash di chiusura, che inizia proprio da due attesissimi titoli in trasferta americana. Quelli dei due talentuosi metteur in scene europei, distintisi per aver costruito un immaginario cinematografico eccentrico e differente dalle comuni vulgate coeve. Refn e Sorrentino insieme, perché arrivano in fondo alla competizione e portano a Cannes i loro film “americani”. Come se girare un film negli Usa, con fondi statunitensi (Sorrentino ha Penn ma non pecunia del posto), fosse l’unico possibile banco di prova di una presunta maturità artistica. E se le strade, i paesaggi, i luoghi dell’infinito spazio americano fossero un binario morto? Spiace dirlo ma la sensazione per l’uno e per l’altro è proprio questa: la Los Angeles dello stunt man/autista Ryan Gosling o i larghi spazi attraversati dalla tracotante cinquantenne rockstar Cheyenne (Sean Penn) sembrano non avere più quella immanente trascendenza cinematografica a cui ci eravamo abituati. I commentatori sportivi la chiamano sindrome da trasferta. E se per Refn si tratta di non avere saputo gestire l’impeto splatter che più gli appartiene tra le pieghe di un testo che sembra risolversi solo nel sanguinoso e sanguinante regolamento di conti tra il protagonista e i comprimari, per Sorrentino il peccato semmai è maggiore
Drive ha già nel suo dna strutturale la presenza, pallida, di uno spazio americano che accompagna e decora il racconto di cui si potrebbe discutere per ore, ma che ha il limite evidente dell’omaggio estetico anni ’80 e il cuore drammaturgico di un Tarantino essicato. In This must be the place, invece, si prova, come sempre nei film di Sorrentino, ad inquadrare e fagocitare sfondi ambientali ed architettonici (la Latina fascista, la Napoli anni ottanta, la Roma democristiana, l’anomica Lugano) per poi renderli non luoghi, spazi immaginari dove far agire l’eccentricità delle proprie maschere attoriali. Ma la macchina da presa di Sorrentino si ferma ad osservare il paesaggio e ne fa quasi sentire il peso dell’ammirazione sconfinata, probabilmente come tanti che lo hanno storicamente e scolasticamente idealizzato.
_x000D_La caccia al nazista che lo schizoide Cheyenne improvvisamente intraprende, l’incontro e lo scontro tra bene e male, tra chi ha tirato le leve dell’Olocausto e chi ne ha subito le mortali conseguenze, spunto originario di un’opera claudicante, rimane qualcosa di straordinariamente astratto, quasi naif. Così i nazisti diventano macchie, tracce olografiche e si perdono nello spazio sconfinato. Non aiutano nell’integrazione del Sorrentino touch un Penn di maniera più che svogliato, personaggio con evidenti “eccezionalità” esteriori, ma parecchio rinchiuso entro la gabbia della sua maschera e un imbarazzante, fin troppo classico apporto musicale di David Byrne. Usato, oltretutto, come commento, sorta di didascalico overlapping, quando il cinema di Sorrentino aveva sempre già contenuto in sede di scrittura l’elemento musicale parte paritaria, integrante e significante dello script, alla pari di dialoghi ed immagine. Traditi? Sì, per un piatto di lenticchie._x000D_