La camarista (Lila Avilés, 2018)
Lina de Lima (María Paz González, 2019)
Três Verões (Sandra Kogut, 2019)
Una delle rivelazioni della 43ma edizione del Toronto International Film Festival fu il bellissimo La camarista di Lila Avilés (2018), ritratto sincero e minuzioso della routine quotidiana e delle aspirazioni di una donna di servizio in un grande hotel nella capitale messicana. Figura professionale condannata per definizione all’invisibilità, Eve (Gabriela Cartol) si muove silenziosa nelle viscere del lussuoso edificio, immaginando le vite radicalmente diverse dalla propria vissute dagli ospiti dell’albergo, attribuendo significati reconditi agli oggetti, agli abiti, ai profumi, e perfino alla spazzatura delle camere che pulisce e riordina ogni giorno. Nonostante sia relegata in una posizione di subalternità, anche a causa del colore della sua pelle, le microscopiche azioni della laconica donna rivelano un universo interiore ricchissimo e un punto di vista necessario ma quasi interamente assente dal cinema contemporaneo, se non quello altamente romanzato di altri film sul rapporto fra domestici e datori di lavoro, come The Remains of the Day (James Ivory, 1993) e Gosford Park (Robert Altman, 2001). Al debutto dietro la macchina da presa, l’attrice Lila Avilés indovina tutto: il tono e la tecnica della narrazione ricordano i Dardenne (Eve è seguita a distanza ravvicinata dalla regista, e le sue scelte sono sempre di carattere etico-morale), e l’affetto per il personaggio echeggia Zavattini (trattandosi infatti della cronaca di qualche giornata nella vita di una persona qualunque).
Alla 44ma edizione del festival questa prospettiva viene esplorata da altri due film ugualmente belli e significativi, Lina de Lima (María Paz González, 2019) e Três Verões (Sandra Kogut, 2019). Il tono lieve del primo, che accosta la commedia ai numeri musicali che scaturiscono dalla fantasia della protagonista, ben si sposa alla realtà molto più drammatica della domestica peruviana Lina (Magali Solier), impiegata da una benestante famiglia cilena. Separata dal figlio che la aspetta a Lima per natale, la donna si costruisce una vita precaria nel paese ospitante completa di amanti, vignette delicatamente surreali, e amicizie fondate sul comune senso di isolamento. I due interlocutori principali di Lina sono infatti la figlia adolescente dei suoi datori di lavoro e un immigrato africano che non parla una parola di spagnolo, con il quale comunica solamente a gesti e condivide la propria solitudine. L’approccio della documentarista González, qui al suo primo film di finzione, è asciutto ed efficace, poggiandosi principalmente sulle evidenti capacità di Solier di sorreggere l’intera vicenda.
Il brasiliano Três Verões è ancor più stilisticamente scarno nel suo ritratto della domestica Madá (la straordinaria Regina Casé), che segue per tre estati consecutive, narrandone le aspirazioni imprenditoriali, la disfatta, e l’eventuale risalita. Nuovamente imperniato sulle differenze di classe, che nell’America del sud sono sempre embricate dall’eredità del colonialismo e dai rapporti fra cittadini di discendenza europea e popolazione indigena, il lungometraggio di Kogut raggiunge vette di commovente autenticità, specialmente nel dimostrare le conseguenze reali della Operação Lava Jato (operazione autolavaggio), una vasta investigazione che nel 2014 rivelò la profonda corruzione che si era annidata in seno all’azienda petrolifera statale Petrobras. Avendo affidato i propri risparmi e le proprie aspirazioni imprenditoriali alla famiglia che le offre impiego, Madá si ritrova inconsapevolmente nell’occhio del ciclone quando questa viene coinvolta nell’operazione della polizia federale. Come rivela una toccante sequenza che la vede aprirsi davanti alle telecamere di un improbabile spot televisivo, Madá è chiaramente avvezza agli imprevisti della vita, e la resilienza acquisita negli anni le permette di ingegnarsi e di riciclarsi, trasformandosi di estate in estate, sopravvivendo alle forze del capitalismo e della globalizzazione, che la vorrebbero in ginocchio, ma non riescono a piegarla.