In modi profondamente diversi, ma ognuno con risultati eccellenti, tre film presenti all’edizione 2019 del Toronto International Film Festival si confrontano con la sofferenza causata dalla scomparsa di una persona cara. Il maestro canadese Atom Egoyan ritorna con Guest of Honour alle tematiche esplorate nel monumentale The Sweet Hereafter (1997), in cui la portata dell’investigazione si estendeva a un’intera comunità prostrata da un incidente automobilistico che aveva causato la morte per annegamento di un’intero scuolabus. Organizzato in una serie di lunghi flashback, Guest of Honour si concentra invece sul difficile rapporto fra il puntiglioso ispettore delle derrate alimentari Jim (David Thewlis) e la figlia Veronica (Laysla De Oliveira). Incapace di comprendere le ultime volontà espresse dal padre appena stroncato da un’imprecisata malattia, la dinamica direttrice di un’orchestra giovanile ricostruisce la storia dell’uomo per il parroco che si prepara a farne le esequie (Luke Wilson). La lunga conversazione porterà a rivelare il trauma che perseguita la vita sentimentale della giovane donna. Sorretto da una performance di prim’ordine di Thewlis, che lascia appena trasparire un dolore enorme da dietro una maschera perennemente accigliata, il film si dipana come un giallo, spingendo i personaggi a comportamenti al limite della legalità e raccontandone a ritroso le conseguenze. Sempre profonde le osservazioni di Egoyan sul multiculturalismo canadese e sulle questioni identitarie della nazione.
Il cinese So Long, My Son di Wang Xiao-shuai utilizza una struttura temporale ancora più complessa, spostandosi senza offrire appigli attraverso tre decadi di storia del paese, dalla politica del figlio unico (introdotta nel 1979) alle riforme economiche che hanno portato la Cina ad aprirsi ai mercati globali. Il capolavoro di Wang Xiaoshuai inizia con un colpo durissimo, l’annegamento del piccolo Liu Xing (Roy Wang) e il conseguente strazio dei genitori Liu Yaojun (Jingchun Wang) e Wang Liyun (Mei Yong), semplici operai impiegati in una fabbrica che presto si troveranno a confrontarsi con le disuguaglianze causate dall’improvvisa conversione della Cina al capitalismo più sregolato. Nel corso di tre ore di purissimo cinema, Wang tratteggia la saga di una famiglia umile e volenterosa che si scontra con leggi arbitrarie, burocrazia meschina e cambiamenti epocali che la costringono ad ingegnarsi per sopravvivere. Piegati sotto il peso di una disperazione immensa e silenziosa, Liu Yaojun e Wang Liyun si trascinano attraverso i decenni cercando di fare del loro meglio, amandosi come possono, commettendo errori e scoprendo i limiti del perdono. La performance di Mei Yong, già premiata con l’Orso d’Argento al Festival Internazionale di Berlino, è un modello di sobrietà e intelligenza espressiva da cui traspare un’intensità emotiva travolgente. Devastanti sono anche le due ore di Vitalina Varela, trasposizione cinematografica sperimentale della biografia della protagonista, una donna di Capo Verde che arriva a Lisbona tre giorni dopo la morte del marito dal quale è separata da venticinque anni. Nato da una costola di Cavalo Dinheiro (2014), il film del maestro portoghese si svolge quasi interamente di notte in interni illuminati a malapena, con numerose composizioni ricordanti le tele di Georges De La Tour. La miseria di Varela e della comunità che la circonda, oscurata sullo schermo ma sempre presente nella colonna sonora, si mescola alla sordità del suo dolore.