CARTOLINA DAL TORONTO FILM FESTIVAL 2018/ 5

Il norvegese Blindsone / Blind Spot (2018) sottopone una famiglia ad un colpo durissimo, e ne segue le conseguenze in modo ravvicinato e implacabile. Diretto dall’attrice Tuma Novotny (comparsa quest’anno a fianco di Natalie Portman nel discusso Annihilation / Annientamento di Alex Garland), Blindsone è composto da un unico piano sequenza di 98 minuti, incollato per la maggior parte della sua durata al volto di Anna (Ellen Heyerdahl Janzon), madre improvvisamente gettata nella disperazione totale nel mezzo di una serata come tante. Il riferimento chiarissimo sono i Dardenne, ma al debutto dietro la macchina da presa la Novotny si limita all’osservazione del dolore più devastante, senza lanciarsi in una investigazione di uno dei dilemmi etici tanto cari ai fratelli belgi. Nonostante la mancanza di questa profondità (o forse grazie proprio alla sua studiata assenza), il film inchioda lo spettatore alla sedia, evitando i momenti di noia che contrassegnano le altre esperienze cinematografiche “estreme” presente al festival, fra cui Climax di Gaspar Noé (2018) e In Fabric di Peter Strickland (2018) Sempre interessato a visualizzare esperienze psicotrope, l’argentino Noé si chiude in una discoteca francese con una troupe di straordinari ballerini hip-hop e ne racconta la rovinosa discesa in episodi di follia determinati dall’assunzione involontaria di LSD. La consueta verve stilistica di Noé, spesso articolata da una macchina da presa che ruota vorticosamente muovendosi sull’asse verticale dell’immagine, ben si accompagna alle evoluzioni sbalorditive dei danzatori. Il primo atto del film, occupato da una gioiosa coreografia che si poggia sul talento del cast, è un’esplosione di vitalità cinematografica ineguagliata nel panorama contemporaneo. L’inglese Strickland costruisce una storia in bilico fra l’horror e la commedia divisa in due episodi collegati da un “vestito assassino.” Visivamente pregevole come le sue opere precedenti (in particolare The Duke of Burgundy, esplorazione di una relazione sadomasochista) In Fabric è interessante solo a metà, quando si concentra sulla vita emotiva di una donna non più giovanissima ma in cerca di compagnia romantica. Il film zoppica pesantemente quando l’attenzione si sposta sul secondo protagonista, un piccolo impiegato impegnato a crearsi una famiglia, rivelando la superficialità dell’idea di base, che si nasconde dietro alla consueta eleganza del décor e all’indubbia capacità di Strickland di creare mondi misteriosi con pochi mezzi e tante suggestioni.