CARTOLINA DA TORONTO 47/ IL CIELO D’IRLANDA


Nel suo pregevole The Banshees of Inisherin il regista e commediografo Martin McDonagh riunisce Colin Farrell e Brendan Gleeson, già protagonisti del fortunato In Bruges (2008), facendogli nuovamente sviscerare le complessità dell’amicizia fra uomini orgogliosi e cocciuti. Meno ambizioso dei precedenti (soprattutto del controverso Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), The Banshees of Inisherin è forse il film più maturo di McDonagh; la favoletta morale vuole che il musicista Colm Doherty (Gleeson) improvvisamente rigetti la compagnia del fido Pádraic Súilleabháin (Farrell), ritenendo l’intelletto del compare troppo inferiore al proprio per continuare a perderci tempo. Imperterrito, Pádraic corteggia le attenzioni dell’amico con conseguenze disastrose per entrambi. McDonagh situa la vicenda nel 1923, durante la guerra civile irlandese, conflitto fratricida le cui ripercussioni ancora echeggiano nelle vicende politiche del paese, su un’immaginaria isola ad ovest dell’Irlanda dove la battaglia giunge solo acusticamente, il rumore di spari ed esplosioni trascinato dal vento. Non è infatti necessario che la querelle fra Colm e Pádraic raggiunga dimensioni nazionali; non si tratta di sovranità, di oppressione di un popolo da parte di un altro, di differenze religiose, ma di piccole ferite esistenziali che avvelenano le interazioni fra simili, di una socialità così stantia che sfocia in inerzia e depressione. Il ruvido paesaggio irlandese, tanto maestoso quanto inospitale, fa da cornice all’isolamento della piccola eppur significativa vicenda, che nell’evolversi da screzio a faida sanguinolenta travolge l’intera comunità; solo la saggia Siobhan (l’eccellente Kerry Condon), sorella di Pádraic, riesce a staccarsene.

Riuscito anche The Wonder del cileno Sebastián Lelio, altro film di ambientazione irlandese ad inizio novecento. Basato sull’omonimo romanzo di Emma Donoghue, già autrice del fortunato Room (2015), The Wonder racconta la storia di una miracolosa bambina irlandese (Kíla Lord Cassidy) che da quattro mesi non sembra aver più bisogno di mangiare, nutrendosi esclusivamente del suo amore per Dio. L’infermiera inglese Lib Wright (l’impeccabile Florence Pugh) viene reclutata da un comitato di dignitari del paese per appurare la veridicità di questo miracolo e ufficializzare la santità della piccola Anna. Come prevedibile, la scienza si scontra con la religione, o meglio la superstizione, ma non tutto è lineare come potrebbe sembrare a prima vista. Nonostante l’inutile e fastidiosa cornice brechtiana, che produce il desiderato effetto straniante senza però arricchire particolarmente il sottotesto, il film funziona, sorretto da buone interpretazioni e una regia efficace, attenta alla giustapposizione fra soffocanti interni e sconfinati esterni, a sottolineare il contrasto fra i due modi di vedere il mondo.
Gradevole ma meno interessante My Sailor, My Love del finlandese Klaus Härö, che dirige con competenza una piccola storia d’amore fra un capitano di marina in pensione (James Cosmo) e la sua governante (Brid Brennan), assunta dalla figlia (Catherine Walker) del primo per aiutarlo nelle faccende di casa. Prevedibilmente i due si innamorano e vivono una breve ed intensa frequentazione prima dell’inevitabile finale con tragedia. Pregevoli le location e la prova del cast per una storia relativamente convenzionale.