CARTOLINA DA HOTDOCS 2019

 

Il 5 maggio si è conclusa la ventiseiesima edizione di HotDocs, il festival internazionale del documentario che si svolge a Toronto ed è suddiviso in varie categorie che tengono il passo con tecnologie espositive e mercati distributivi. Oltre alle “Special Presentation” (che sono fuori concorso), il festival include un “Canadian Spectrum” e un “International Spectrum”, entrambi in competizione, una sezione dedicata a “The Changing Face of Europe”, una sull’attivismo femminile (“Persister”), una sull’arte (“Artscapes”), una sulla relazione fra esseri umani ed animali (“Animal Magnetism”), ed una che si azzarda a fare pronostici sul futuro stato cult dei film in programma (“Nightvision”). Fra questi ultimi è il nuovo sforzo “filologico” dello svizzero Alexandre O. Philippe, veterano del festival con The People vs. George Lucas (2010) e 78/52 (2017). Dopo Star Wars (George Lucas, 1977) e Psycho (Alfred Hitchcock, 1960) rispettivamente, il cinefilo Philippe confeziona Memory: The Origins of Alien (2019) in occasione del quarantennale di Alien (Ridley Scott, 1979), ricostruendo le circostanze che hanno portato alla creazione di uno dei film che hanno rivoluzionato il genere horror-fantascientifico.

Importante categoria presente al festival è anche “Make Believe”, che raccoglie titoli sull’epoca contemporanea, contrassegnata dal passaggio alla post-truth, ovvero alla rinuncia globale ai principi dell’illuminismo in favore dell’opinione fattasi “verità”. La sidebar più avveniristica è “DOX”, il contenitore dedicato ai progetti interdisciplinari e multimediali, fra cui si annoverano performance dal vivo, installazioni, e virtual reality e film interattivi. In questa serie sono spiccate le tematiche che riguardano il cambiamento climatico, con tre estratti dal progetto intermediale Anthropocene (2018) di Nicholas De Pencier, Jennifer Baichwal, e il fotografo Edward Burtynsky in testa al gruppo. Si collega allo stesso tema anche River Silence (Rogério Soares, 2019), che però non si limita ad osservare gli effetti dell’industrializzazione sull’ambiente, ma raccoglie le storie di quattro donne e delle relative famiglie, le quali vengono allontanate dalle loro abitazioni dalla diga di Belo Monte sul fiume Xingu, affluente del Rio delle Amazzoni, in Brasile. La prospettiva umanistica si estende anche alla categoria “World Showcase”, in cui segnaliamo Bojayá: Caught in the Crossfire (Oisiín Kearney, 2019), film ancorato dalla figura dell’attivista Leyner Palacios Asprilla, sopravvissuto a uno dei massacri di civili più vergognosi nella storia della Colombia. Nel 2002, durante una sparatoria fra i guerriglieri FARC e le forze paramilitari, 119 vittime innocenti persero la vita nella chiesa di Bojoyá, dove si erano riparate per cercare riparo dal fuoco incrociato.

Grazie agli sforzi della Italian Trade Commission e dell’Istituto Luce, l’Italia è rappresentata in una sezione speciale intitolata “Made in Italy”, in cui quest’anno hanno partecipato sette film (ma in realtà film tematicamente italiani o realizzati da documentaristi provenienti dall’Italia si trovano anche in altre sidebar, per un totale di dieci titoli). Si è fatta notare la biografia, molto creativa dal punto di vista formale, dedicata da Beniamino Barrese alla madre Benedetta Barzini, icona della moda e del femminismo italiano (si veda l’intervista di Jessica L. Harris con Barzini). The Disappearance of My Mother (2019) è imperniato sul desiderio (immaginato o meno) della donna di sparire—dalle cronache, dagli eventi mondani, forse perfino dalla sua famiglia. Mescolando momenti intimi con la madre, spezzoni di apparizioni televisive, immagini di repertorio e reenactment, Barrese costruisce un ritratto della madre volutamente imperfetto, complesso ed enigmatico, tanto contraddittorio quanto lo è la figura di Barzini, che continua ad impegnarsi a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle assurdità del mondo dell’haute couture sia dall’esterno che dall’interno. Un altro film che fa parte della categoria “Made In Italy” è I Had a Dream (2018) che segue due donne del Partito Democratico, la parlamentare Manuela Ghizzoni e l’assessore Daniela DePietri, entrambe attive in Emilia-Romagna, roccaforte storica della sinistra, per un periodo di dieci anni (2008-2018). Dalla rielezione di Silvio Berlusconi nel 2008 al sorgere del movimento femminista “Se non ora quando?” nel 2011-2012, al pressing per creare più protezione per le donne contro il femminicidio (con il successivo respingimento da parte dei politici maschi della destra), la regista Claudia Tosi presenta un ritratto intimo della loro lotta per rendere più rilevanti i diritti delle donne in un paese dove sono ancora fortemente radicate l’ideologia patriarcale e il maschilismo. Per di più, è attraverso quest’ottica che si può anche vedere il logoramento della base della sinistra e lo spostamento dell’elettorato verso i populisti e la destra. Mentre per la maggior parte il film descrive la sconfitta della sinistra e delle donne italiane, c’è un senso di speranza che emerge dalla determinazione di Ghizzoni e DePietri. Scegliendo di non arrendersi, queste donne si ergono a modello per un cambiamento che, se forse non è necessariamente prossimo, vedrà la politica femminile farsi sempre più determinante. Tematicamente collegato al film della Tosi è anche Dicktatorship: Macho Made in Italy (2018) dei veterani Gustav Hofer e Luca Ragazzi, già apprezzati per Improvvisamente l’inverno scorso (2008) e Italy: Love it or Leave it (2011). Alla loro prima apparizione canadese, Hofer e Ragazzi esplorano il tema della mascolinità tossica latente nella società italiana e i suoi effetti sulla politica (si veda l’intervista di Alberto Zambenedetti con i registi).

Infine, nella sezione “International Spectrum” segnaliamo The Valley (2019) di Nuno Escudeiro, che è stato premiato con l’Emerging International Filmmaker Award. Anche il film del portoghese si occupa della lotta degli individui contro un sistema politico democratico che (a volte) sembra essere antidemocratico. Prendendo la crisi dei rifugiati come tema principale, il film esplora gli sforzi umanitari degli abitanti della valle del fiume Roia, fra l’Italia e la Francia, impegnati ad aiutare i migranti provenienti dall’Africa che arrivano in questa zona con il desiderio di ottenere asilo in Francia anziché in Italia (il luogo di primo arrivo, come sancito dalla Convenzione di Dublino, di cui entrambi i paesi sono firmatari). A causa delle loro azioni, gli abitanti di solito entrano in conflitto con l’accordo internazionale e i suoi meccanismi di applicazione, e in particolare con la polizia di frontiera. In questo modo Escudeiro dimostra come la legge non aiuti le persone come dovrebbe, criminalizzando invece sia gli abitanti che i rifugiati che agiscono in linea con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, mettendo di fatto in discussione la natura della democrazia stessa. Nella stessa sezione è stato presentato anche bellissimo Marek Edelman… and There Was Love in the Ghetto di Jolanta Dylewska, codiretto dal compianto Andrzej Wajda (2019), che ricostruisce i racconti del comandante della rivolta nel ghetto di Varsavia del 1943. Come The Disappearance of My Mother, anche questa è una biografia in qualche modo non convenzionale, in cui Dylewska usa sapientemente una miscela di interviste con il reticente Edelman, che si lascia andare ai ricordi più struggenti dell’occupazione tedesca, accompagnandole a vignette interpretate da attori in costume che si muovono in un paesaggio a tratti storico e a tratti contemporaneo. La celebrazione di atti d’amore all’interno di una delle pagine più brutali del ventesimo secolo ne fa emergere i lati umani troppo spesso dimenticati.
In conclusione, anche questa edizione di HotDocs ha offerto una vasta selezione di film con vari temi che mettono in luce i problemi significativi che la nostra società sta affrontando o deve affrontare. Grazie all’organizzazione e alla città di Toronto, che come durante il Tiff si anima di spirito cinefilo, si può prendere il festival come punto di partenza per un attivismo impegnato che si trasformi in azione concreta.

Alberto Zambenedetti e Jessica L. Harris

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