CARTOLINA DA CANNES 75 – FUORI CONCORSO: CRUISE IMPALMATO E UN INNOCENTE GARREL

Il fuori concorso di Cannes 2022 è, come di consueto, costituito da un parco di opere che si muovono in bilico tra autorialità e botteghino, una sorta di parure di titoli commerciali di prestigio che, in base a valutazioni come sempre imperscrutabili, troviamo nell’Out, ma che, spostando solo di un grado il goniometro delle ripartizioni, probabilmente potevano trovare posto anche in concorso. Ok, Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski (o di Tom Cruise?) ha la sua sacrosanta collocazione, è un titolo destinato a incassi stellari e la competizione non potrebbe che danneggiarlo (poi comunque si collega alla celebrazione di Cruise – lo facciamo anche noi, dandogli la foto di copertina – , alla sua palma d’onore a sorpresa, a un’affollatissima masterclass eccetera eccetera), ma cose come Elvis di Baz Luhrmann o Three Thousand Years of Longing, attesissimo ritono alla regia di George Miller – dopo Mad Max: Fury Road, che proprio sulla Croisette visse la prima grande consacrazione -, si potevano tranquillamente immaginare in competizione.
Completano l’elenco tre francesi: se a Masquerade di Nicolas Bedos spetta la chiusura della kermesse e Novembre di Cédric Jimenez (dopo il trionfo in patria di Bac Nord) probabilmente cercava solo una luccicante vetrina e nessun rischio, sorprende abbastanza trovare in sezione l’ultima fatica di Louis Garrel da regista. Forse troppo “graziosa” per ambire al concorso (e comunque c’è un limite alla presenza transalpina che domina, tra produzioni e coproduzioni, un po’ ovunque), l’opera forse sarebbe stata meglio inquadrata in quella succursale al concorso che è Cannes Premiere. Ma tant’è.

Di cosa parla il film di Garrel? Di Abel che reagisce male alla notizia che la madre (Anouk Grinberg) sta per sposare un detenuto: con la complicità dell’amica Clémence (Noémie Merlant, meravigliosa), cerca di dissasuaderla e proteggerla. L’incontro col promesso sposo Michel (Roshdy Zem) lo aprirà a nuove esperienze e prospettive di vita. Garrel (fan di Moretti) incarna di nuovo Abel (il suo Michele Apicella) facendone stavolta un figlio in ambasce e un vedovo in lutto perenne, incapace di riaprirsi a un amore che gli vive palesemente accanto. Confermando il disincantato registro del suo cinema – leggerezza truffauttiana, ricercata gratuità (i riferimenti hitchcockiani come sberleffi), esistenzialismo mimetizzato – il francese lo vira sul fronte di una commedia assai godibile, ammiccando al thriller e annodando il filo di malinconia romantica alla sfrontata teoria (la recita della schermaglia amorosa serve a dirsi la verità).