CARTOLINA DA CANNES 75 – OTTO MONTAGNE DA SCALARE

In concorso Otto montagne dei belgi Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen è accolto da grandi applausi. Pietro è un ragazzo di città, Bruno è l’ultimo figlio a vivere in un paesino dimenticato della Valle d’Aosta. Diventano amici in questo angolo nascosto delle Alpi: se la vita inizialmente li separa – Bruno resta fedele alla sua montagna, Pietro gira il mondo – il destino li riavvicinerà. Tratto dal romanzo di Paolo Cognetti, è un film imperfetto di cui però è ingiusto parlar male: storia molto forte, due interpreti indovinati (Luca Marinelli e Alessandro Borghi) che portano sullo schermo un’alchimia che sappiamo autentica, moltissimi momenti indovinati. È peraltro difficile sorvolare sulla durata abnorme, il pedante e poeticistico voice over che sbilancia una narrazione che per molti aspetti procede per ellissi, la mancata elaborazione di molti passaggi, le derive cartolinesche, lo score composto di canzoni indie-folk a tratti francamente stucchevole. Ma la tematica è davvero coinvolgente, i punti di forza del film non prescindibili. E concreta la possibilità di ritrovare, con lucidità a volte abbacinante, verità condivisibili. Così Otto montagne da un lato suona come occasione mancata, dall’altro come opera a cui è facile affezionarsi, che si candida a diventare un successo e che – sono sicuro – acquisterà considerazione col tempo, quando dei suoi difetti importerà meno, l’occhiale critico riposto nell’astuccio. La stampa è stata mediamente positiva (eccezioni: Telegraph si distingue per il suo no secco, media l’accoglienza francese, ma c’è la bocciatura di Positif).

Centrale nel film belga è la figura del padre che ricorre come leit motiv nelle prime opere viste qui alla Croisette. A cominciare dalla non esaltante partenza della sezione Un Certain Regard affidata a Tiralleurs di Mathieu Vadepied (nel 1917 Bakary si arruola nell’esercito francese per unirsi ai suoi figli, reclutati con la forza), film che vede un convincente Omar Sy (che recita nella sua lingua d’origine) in un ruolo ineditamente drammatico. Meno convincente il film, un piatto sceneggiatone che persino la stampa francese si permette di demolire (dai quotidiani – Le Figaro in testa – alle riviste specializzate – Positif e Télérama -). Ma di padri parla anche L’envol, apertura della Quinzaine, a firma Pietro Marcello, e l’Armageddon di James Gray (in testa alle preferenze dei critici, al momento – pas d’accord -).
Ma sulle posizioni della critica farò un punto domani.