Attesissima, l’opera seconda di Lukas Dhont sembra strategicamente calenderizzata a fine kermesse per sconvolgere i primi pronostici e i pagellini già assestati dei giurati. Vedremo come impatterà sul verdetto finale, certo è che il film belga sembra una creatura concepita a misura di festival, con tutti gli ingredienti giusti per mandare in sollucchero stampa e pubblico.
Léo e Rémi, 13 anni, amici da sempre: un’intimità naturale, la loro, una simbiosi fatta di giochi e sogni in dialogo continuo, di una cura e di una tenerezza inspiegabili allo sguardo crudele dei loro coetanei, quando cominciano a frequentare la scuola secondaria: Léo di quell’implicito giudizio avverte il peso, sente di dover rinegoziare i termini del legame con l’amico per fermare lo scherno, evitare che quella esclusività venga fraintesa, osteggiata, dileggiata. Non ne parla esplicitamente a Rémi, lo allontana gradualmente, con piccoli gesti e comportamenti che vorrebbe significativi, ma che saranno letti dall’amico come un semplice, categorico rifiuto, un allontanamento che, nell’animo ipersensibile del compagno non più complice, assumerà i caratteri di una ferita dolentissima. Così – dopo un litigio che converte le loro quotidiane e allegre zuffe, in uno scontro violento – accade l’irreparabile.
Dhont, dopo Girl (Camera d’or a Cannes 2018), torna sull’adolescenza come fase delicata di cambiamento e presa di coscienza, puntando sui silenzi e sull’osservazione, facendo solo intuire i processi interiori in atto, non decodificandoli, lasciandoli a strategiche ellissi e alla conseguente interpretazione dello spettatore. E rispondendo alla prossimità dei due protagonisti con una macchina da presa altrettanto prossima ai corpi dei personaggi. Racconta in questo modo anche il percorso del senso di colpa di Léo, con una freddezza che ha del clinico e uno spettro di echi di una precisione quasi soffocante (il bambino che cerca rifugio nel contatto avvolgente con un altro corpo, quello del fratello). All’opaco, imprendibile agitarsi di uno stato e di un’età il regista oppone un percorso a tappe di rigidità quasi letteraria, firmando un film virtuosistico che, se presuppone emotività, non sembra chiamarla quasi mai in causa.
Ma la stampa come ha accolto il film? Le testate anglofone non risparmiano aggettivi (spicca l’entusiasmo dell’inglese Telegraph), più tiepidi i francesi (Positif, grande sponsor del debutto di Dhont, stavolta esprime molte perplessità) e i tedeschi. Ma, come al solito, sarà l’uscita in sala a riassestare giudizi e commenti, dopo i primi giudizi a caldo.