La serie Irma Vep si muove sullo stesso nucleo narrativo del film del 1996 (le riprese travagliate, i rapporti tra la diva e il regista e la diva e la costumista etc) e narra di Mira (Alicia Vikander), star del cinema internazionale che arriva in Francia per interpretare una serie arthouse, Irma Vep, tratta da Les Vampires di Louis Feuillade, già al centro di un precedente film dello stesso regista René Vidal (Vincent Macaigne). Posti tutti i problemi della lavorazione, legati alla fragilità emotiva di Vidal, con l’avanzare delle riprese, Mira si rende conto che i confini tra lei e il personaggio che interpreta iniziano a confondersi e sfumarsi.
Irma Vep non è solo un remake – ampliato nella durata e nello sviluppo dei temi – del film di Assayas del 1996, ma si propone soprattutto come un labirinto di specchi che rimandano i riflessi non solo della storia del film primigenio, ma anche di quella del suo autore Assayas. E non parliamo solo della sua storia artistica (poetica, metodo, catalogo), ma anche di quella vissuta (in primis: il legame sentimentale con Maggie Cheung che si chiude con un divorzio nel 2001). Insomma in Irma Vep Assayas butta dentro tutto se stesso, uomo e regista, e la serie, di tutto ciò (e di molto altro), ne restituisce un’immagine vertiginosa.
Così anche il cast e i personaggi di Irma Vep pullulano di presenze e ruoli che sono strategici rimandi alla produzione di Assayas: dalla Jeanne Balibar di Fin août, début septembre nella parte della costumista Zoé (che nel film del ‘96 era Nathalie Richard che appare, a mò di citazione, in una scena in dialogo proprio col suo primo personaggio Zoé) a Angelin Preljocaj – vate della nouvelle danse, autore delle coreografie della serie e qui nella parte del… coreografo -, già protagonista del documentario di Assayas Eldorado che seguiva le prove dell’omonimo spettacolo, creato sulle musiche di Stockhausen), fino a Alex Descas che, unico, riprende lo stesso personaggio del film del 1996. Non meno riverberante il discorso delle musiche di Thurston Moore, naturale trait d’union ai Sonic Youth di Irma Vep (1996), comunque presenti nello score della serie.
Ma non finisce qui, perché Irma Vep, puntata dopo puntata, aumenta i livelli ed esaspera il capogiro con le rievocazioni del making of di Les Vampires di Feuillade (come tratte dalle memorie dell’attrice protagonista Musidora) in cui i vari ruoli (regista, attori, maestranze) sono ricoperti dagli stessi interpreti che hanno le rispettive parti nella serie (Vikander diventa Musidora, Macaigne Feiullade eccetera), laddove le immagini del film del 1915 si alternano a quelle di IV-S, facendo scorrere, in parallelo ai tournage di Feuillade e Vidal, la vicenda dei ladri- vampiri come da entrambi girate.
Che poi – altro specchio – lo stesso I Vampiri era un serial cinematografico, a meno che Feuillade non preferisse parlarne come di un film di 400 minuti… Del resto non diceva la stessa cosa Assayas del suo Carlos?
Al netto delle rifrazioni, la serie è anche un condensato – leggero, con i toni della commedia – della poetica del suo autore, del suo sguardo al contemporaneo (i suoi personaggi sono immersi in esso – che sia musica, moda, costume, letteratura -: tutto è prontamente testimoniato, a cominciare dalle plateali t-shirt). Così, mentre Assayas (come e in quanto René) vampirizza il film-serial di Feilluade, si lascia intendere che il personaggio di Irma Vep sia perfetta interprete dello Zeitgeist, in quanto primitiva villain, un’antieroina che rimanda a un’immagine al femminile modernissima. Anche la fluidità sessuale di Mira – divisa tra due ex, un attore tormentato e un’assistente dominatrix – è un elemento che si fa implicitamente tematico, così come l’eclettismo di Musidora, che fu Irma Vep all’epoca: non solo un’attrice che si gestiva in autonomia, ma anche una regista e una critica. Il personaggio Irma Vep e le attrici – multiple, che lo interpretano o l’hanno interpretato – si sovrappongono l’uno alle altre nell’ennesimo gioco di rimandi, facendosi tramite perfetto per ragionare sull’attualità dell’audiovisivo (temi, tecniche, modi di narrare, divismo e dunque coordinatori di intimità, #metoo, rapporto attuale tra arte e commercio, blockbuster e autorialità).
Insomma non rinuncia il francese a testimoniare, attraverso la sua opera, la situazione del mondo dell’immagine, il suo statuto, la nostra percezione del mondo e il modo in cui tale percezione, con l’evoluzione tecnologica, si modifica, riformulando l’umano. Lo fa, come al solito, anche attraverso i dialoghi che, pur nel loro scoperto teorizzare, non appaiono mai didascalici o pretestuosi, anzi, di leggerezza aerea.