CARTOLINA DA CANNES 75 – ALTRE VISIONI: GARLAND E MOLL

Diamo conto di altre due importanti visioni fuori dalla competizione. Alla Quinzaine sbarca il nuovo film di Garland, Men. Dopo il suicidio del marito – un senso di colpa col quale fare i conti, legato a un dubbio di involontaria istigazione – Harper (Jessie Buckley), per riflettere e rigenerarsi, si isola in una residenza di campagna. Ma una misteriosa presenza sembra perseguitarla. Garland utilizza i codici di home invasion e horror (anche satanico) – un catalogo qui riconvertito in florilegio di sipari ossessivi e visioni inquietanti – per raccontare, nella forma di una parabola simbolica, di mascolinità tossica – declinata su un ventaglio di personaggi non a caso tutti incarnati dallo stesso attore (Rory Kinnear) – e di riproduzione incessante del Male (gaze…). Un incubo a cui conferisce immagini di eleganza spettrale, una natura avvolgente e parimenti minacciosa, interni caldi e scenografici, solleciti nel convertirsi in trappole da incubo. Lontano dalla sci-fi esistenzialista dei suoi film precedenti, giocando su un registro più realistico, Garland lo deforma in chiave psicanalitica: così il dualismo città – campagna oppone alla realtà del ricordo traumatico, la sua elaborazione introspettiva, tra allucinazione, deformazione percettiva e allegoria. Un film frontale, assertivo fino alla brutalità, ma d’impatto formale ed emotivo di innegabile potenza .

A Cannes Premiere invece il film di Dominik Moll La nuit du 12
Ogni investigatore ha un crimine che lo perseguita: per Yohan è l’omicidio di Clara, per il quale, anche se i sospetti assassini non mancano, di certezze non ce n’è alcuna. La didascalia iniziale, riferendo che il 20% dei delitti rimane insoluto, ci ha già avvisati: non ci sarà un esito conclusivo, il fatto diventando la cartina di tornasole delle esperienze di vita di chi vi indaga. Il caso deflagra infatti nelle vite dei poliziotti, ne mette a nudo le intime ferite, ognuno di essi prendendo un pezzo di questa vicenda e riferendola a sé. Moll, anche in questo impianto iperrealistico (la quotidianità del lavoro investigativo, la scarsità di mezzi, il conseguente investimento personale) allude, come sempre fa, al genere – polar e mystery (gli onirismi, il gatto nero che attraversa idealmente la vicenda) – ma senza indulgervi, come vago retrogusto, ché la trattazione della materia ha del clinico. Soprattutto mette in scena un mondo esclusivamente virile alle prese con l’ennesimo femminicidio senza colpevoli, una prospettiva e una visione dell’accaduto sclerotizzata in logiche patriarcali e ragionamenti declinati al maschile, un girare in tondo senza sosta (le corse nel velodromo del protagonista) che sa di ossessione e inconcludenza.