In questa corsa a ostacoli che è quest’anno il Festival (prenotare quale sala? Scommetto su un invito? Questa availability pending si sbloccherà? Salteranno fuori dei biglietti last minute? Avrò il risultato del tampone in tempo per entrare alla Sala Bazin?) la Quinzaine des Réalisateurs è l’unica sezione che sembra mantenere la sua logica di lineare democraticità. Che possiamo così tradurre: se sei svelto ce la puoi fare anche tu. Peccato che, a giudicare dalle prime cose viste, non sembri all’altezza delle ultime edizioni. Così, fiduciosamente, mi sono affidato al film di Emmanuel Carrère, Ouisthream, tratto dal libro-reportage di Florence Aubenas. Che inizia come un film inchiesta di Ken Loach per estendersi a riflessione su un metodo di lavoro che ha molto a che vedere con quello dello scrittore francese. Il film narra di Marianne (Juliette Binoche), nota scrittrice che decide di indagare nel mondo del lavoro precario. Ma facendolo dal di dentro: così passa dall’ufficio di collocamento e si fa assumere come donna di servizio, all’interno di una squadra che rassetta le cabine delle navi da crociera. Lo fa in incognito, senza svelare la sua identità alle “colleghe” e creando rapporti umani, anche molto stretti, con alcune di loro. La descrizione delle condizioni lavorative vira presto sul personale, dunque, nell’immersione in un ambiente sociale, in un vissuto concreto fatto di intimi legami, confessioni, condivisione quotidiana. L’intento di partenza, quello di dare visibilità agli invisibili, finisce però per mettere a nudo anche una tacita vena paternalistica, facendo allungare, sul nobile intento, un’ombra di ipocrisia. Inevitabile da parte di chi, per quanto desideroso di mettersi in gioco, non rischia mai davvero qualcosa. Il finale, questo corto circuito, lo racconta piuttosto bene (trattazione specifica a seguire).
Decisamente meno interessante, invece, The Hill Where Lionesses Roar, esordio alla regia di Luana Bajrami, attrice franco-kosovara famosa per la partecipazione al film di Céline Sciamma Ritratto della giovane in fiamme. Tre ragazze, a cui si affilia anche il compagno di una di loro, in conflitto con la piccola realtà del paesino nel quale vivono, si rifugiano spesso in una casa diroccata su una collina. Lì decidono di formare una gang che mette a segno un po’ di colpi. Un film che parla di sorellanza ed emancipazione, che azzarda qualcosa a livello di composizione figurativa, ma che patisce la debolezza di una sceneggiatura che si perde in una facile ode al ribellismo, senza rinunciare a tutti i luoghi comuni che la situazione mena con sé. Un film molto grezzo e semplicistico.