Eccoci alla Cannes del riscatto: Frémaux – in una conferenza stampa che lo ha visto invasatissimo sponsor della grandeur francese, prima ancora che della kermesse, in cui non ha mancato di ribadire, una frase sì e una no, che, insomma alla Croisette si vive l’esperienza festivaliera più importante del mondo – aveva annunciato un programma clamoroso, due anni di produzioni concentrati in uno, un fuoco di fila di grandi titoli. L’impressione, alla fine di questa prima settimana, è di tutt’altro tenore. Concorso mediocre, Quinzaine piuttosto debole, un Certain Regard che tiene alta la bandiera, certo, ma che non basta a dissipare incertezze. È, come al solito, prematuro e inutile tirare conclusioni, ma qualcosa la si può già cominciare a dire.
Annette – l’apertura sacrosanta, il film di Leos Carax post Holy Motors, attesissimo da tempo, la solita epopea realizzativa, con cast rimescolato spesso e volentieri (Rihanna, a un certo punto) – è mediamente piaciuto e al momento guida la classifica delle preferenze della stampa internazionale, senza peraltro fare sfracelli. Se piace tantissimo al Telegraph e, soprattutto, al Guardian, lascia piuttosto freddo il Michel Ciment del patrio Positif. Stampa francese comunque tutta mediamente a favore (Cahiers sì, Telerama pure e tra i quotidiani il peana di Le Monde). È del resto un’opera destinata a far discutere e che difficilmente troverà convergenze piene in giuria: troppo viscerale e irruente, straripante fino all’insostenibile, compiaciuta e liberissima. Soprattutto, e qui si va al sodo, fatta di tanto bellissimo cinema. Coloro che vorranno farle le pulci si lamenteranno della scrittura diseguale: da quel punto di vista il film di Carax è esposto fino all’evidente nudità, autoritratto sublimato in musical (canzoni degli Sparks) che del musical ha anche l’esteriorità e la linea narrativa a vista. Insomma, la storia sotto i riflettori, nella Los Angeles di oggi, della coppia glamour formata dallo stand-up comedian Henry (Adam Driver, splendido) e da Ann (Marion Cotillard), cantante di fama internazionale, e della loro prodigiosa figlia Annette, è un atto di contrizione registica che si fa spettacolo totale a base di amore tossico e morte violenta. Con una serie di invenzioni che non anticiperò perché la loro scoperta è parte dell’esperienza, come si suol dire. E con un duetto finale che, al solo pensiero, riprovo i brividi (e non era l’aria condizionata a palla della sala Debussy).
Ma il discorso è solo all’inizio. E infatti continua.