
In probabile attesa di un finale coi fiocchi, il festival in quest’ultima fase pare tirare un po’ i remi in barca, con opere di ambizione nel migliore dei casi ridotta, e negli altri clamorosamente mal riposta.In quest’ultima categoria, senza dubbio, Michael Kohlhaas, del discutibile Arnaud des Pallières, che si accontenta di un medioevo pigramente truce, di un eroe che più che da Kleist (non pervenuto) potrebbe venire da un action americano qualsiasi, di una finta ieraticità che nasconde solo la povertà di idee.
_x000D_Senz’altro meglio, ma comunque dalle parti del “senza infamia e senza lode”, Nebraska di Alexander Payne. Esattamente il tipo di commedia drammatica on the road che ci si aspetta da lui: il viaggio dal Montana al nativo Nebraska di un anziano semi-alcolizzato è il pretesto per dare corpo alla solita dissezione di rapporti famigliari malfermi (padre-figlio innanzitutto) dipanantisi con la sua solita legnosa meccanicità drammaturgica, appena mitigata dagli spunti comici e da un arsenale visivo (le leziose cartoline in bianco e nero dalla desolazione del Mid-West) francamente risaputo.Meno a senso unico La vie d'Adèle di Abdellatif Kechiche. Se da un lato è difficile negare la sconcertante banalità di questa iniziazione di una liceale all'amore (lesbico) e alle sue disillusioni, dall'altro è difficile dire che sia un brutto film. Al di là delle scene di sesso molto belle, soggetto non facile da filmare ma in corrispondenza del quale lo stile minutamente cronachistico di Kechiche pare davvero trovare la propria vocazione, La vie d'Adèle si lascia guardare tutto sommato volentieri, cullati da un ritmo piacevolmente piatto, di fatto televisivo, in cui nulla di inaspettato succede ma che in qualche modo coinvolge nel suo marcare stretto la dolcemente opaca protagonista.
_x000D_Unico raggio di sole in questo prefinale, il sottovalutatissimo Only God Forgives. All'inizio si pensa che Nicholas Winding Refn si sia messo a strafare, a eccedere di manierismo, ad indulgere in statuaria solennità manco fosse Dreyer. Poi, man mano che il film procede, ci si rende conto che si sta pensando al danese sbagliato, perché il film è, nientemeno, che una spiazzante e coerentessima versione di Amleto. Già: del resto, a quale altro mito poteva rivolgersi un autore così spaccato in due tra azione e contemplazione?