
Il concorso stenta a decollare. A stare alle stellette di Screen il titolo più quotato al momento sarebbe Loveless di Andrey Zvyagintsev. Non sorprende: il livello medio della competizione di quest’anno lascia talmente a desiderare che la proposta del russo – che, con tutte le riserve espresse, di fascino ne ha – finisce con l’attirare i favori delle testate internazionali e lascia presagire che anche in sede di premi possa coagulare consensi. Piacciono anche i film di Campillo e di Ostlund, mentre di Todd Haynes non parla più nessuno.
Il film di Baumbach ottiene consensi, a parlare con i critici sembra essere piaciuto un po’ a tutti, ma nessuno lo considera un possibile premiato, un po’ per la questione Netflix, un po’ perché non sembra il genere di titolo che possa incantare una giuria cannense. Sul fronte delle interpretazioni si stenta a trovare dei possibili premiati, ma oggi tocca al Rodin di Doillon che sfodera, si dice, un Vincent Lindon pronto a ricevere la seconda palma della sua carriera. In subordine (per ora) l’Adam Sandler e il Dustin Hoffman di The Meyerowitz Stories potrebbero dire la loro e fungere da foglia di fico che ridurrebbe le polemiche legate alla medesima questione di cui sopra.
Se Le Redoutable è stato subito archiviato come una sciocchezzona buona solo per alimentare il rumore della kermesse, ieri sono passati anche due dei titoli in gara più attesi: The Killing of a Sacred Deer (foto) estenua la formula-Lanthimos e delude le aspettative; è film furbo e tirato via, condensato di tattica di marketing arthouse a cui si dà qualche importanza solo per la firma che reca. Happy End è un altro kit autoriale dispiegato in automatico: di altra profondità rispetto all’opera di Lanthimos, ma senza guizzi, il film di Haneke difficilmente otterrà riconoscimenti.Buone notizie invece sul fronte italiano: A Ciambra di Jonas Carpignano – prodotto, tra gli altri, da Martin Scorsese – presenta un magnifico lavoro di immersione ambientale in una comunità rom di Gioia Tauro. È opera di pregio, un romanzo di formazione girato con piglio ed energia che, dopo aver messo insieme, con grande efficacia, frammenti di documento e narrazione in filigrana, finisce, nell’ultima parte, con il consegnarsi completamente alla scrittura sbilanciando sugli automatismi del racconto e sulle relative conclusioni la sua struttura. Testimonia della maturità del regista di Mediterranea ed è stato giustamente applaudito alla Quinzaine.
Positivo anche il riscontro per L’intrusa di Leonardo Di Costanzo, altro interessante lavoro in bilico tra logica documentaria e finzione.