CARTOLINA DA CANNES (22 MAGGIO)

Still The WaterDopo alcuni anni di relativa stagnazione, il cinema di Naomi Kawase torna finalmente ai livelli di Mogari no Mori (2007). Ambientato nell'isola giapponese di Amami, Futatsume no mado intreccia temi assai vicini a ciò che la regista non ha mai smesso di esplorare, in primis la continuità tra la vita e la morte mediata dalla potenza avvolgente della natura.
_x000D_È appunto un cadavere misteriosamente lasciato sulla spiaggia dal mare agitato, ad avvicinare per la prima volta i due adolescenti Kyoko e Kaito. Annunciato da subito ma altrettanto presto frustrato (segnatamente per via della ferma ritrosia di lui), il loro amore troverà compimento solo alla fine del film, solo cioè quando il tempo avrà annodato insieme in un'enigmatica costellazione l'addio di Kyoko alla madre morente e il lasciarsi alle spalle, da parte di Kaito, una gelosia nei confronti della madre divorziata non lontana dal morboso.
_x000D_È inevitabile che il panteismo un po' facile di Kawase corra il rischio di essere stucchevole. Questo succede lungo tutta la prima parte del film, francamente interlocutoria e discretamente priva di nerbo. Tra un nonno cartolinescamente saggio, epifanie liriche purtroppo solo accennate (il sogno di Kaito) e troppi momenti preparatori sbrigativamente abbozzati, si supera la boa di questi 118 minuti con un po' di perplessità.
Poi, Futatsume no mado si impenna vertiginosamente. Quando il padre di Kyoko ci ricorda che l'onda si prepara lungamente, al largo, con appena percettibili vibrazioni, per poi infrangersi a riva con violenza, sembra davvero parlare della struttura del film. La sensibilità “olfattiva” e traballante della cinepresa di Kawase, inconfondibilmente capace di suggerire la flagranza dell'“esserci” qui ed ora, a un certo punto passa ad essere non più al servizio di un montaggio indeciso e poco convincente, ma di lunghe scene di impressionante, trascinante intensità e potenza micro-coreografica. La loro forza deriva da un'orchestrazione minuziosa ma miracolosamente fluida dei sussulti drammatico-profilmici che la camera a mano sembra captare “in diretta”.
_x000D_Basta questo a qualificare la finale nuotata subacquea dei due protagonisti (e insieme ad essa il film nel suo complesso) come immersione mistica? Forse no. Se da un lato Kawase insiste quasi sfacciatamente sull'“essere lì” della sua cinepresa, in balia del contatto sensoriale con gli elementi naturali, dall'altro l'enfasi sull'infinito scandirsi e segmentarsi del tempo non è minore. Grande film sul femminile e sulla mancanza di fondo del suo abisso, in ultima analisi Futatsume no mado rispedisce al mittente l'accusa di panteismo stucchevole, perché in esso la natura è solo in apparenza un Tutto in cui fondersi: è piuttosto un riproporsi sempre rinnovato della differenza. È un mare da percorrere senza rischio di esaurimento: un oceano da svuotare con il proverbiale cucchiaino.