Giorno di premiazione: dopo il primo punto, ecco come si orienta la stampa internazionale sui titoli in competizione da lunedì. Come era facile prevedere, la calata degli assi rimette in discussione la prima classifica. Se il film di Almodovar resta un serio candidato alla vittoria finale (e Banderas per il riconoscimento al miglior attore), la seconda tornata del concorso gli affianca i primi veri contendenti.
A Hidden Life di Terrence Malick piace alla stampa, con alcune significative punte di entusiasmo (giornali americani e Positif), anche se, tra gli autori statunitensi, il trionfo vero è quello di Quentin Tarantino, per il quale c’è un fronte di favore incredibilmente compatto: Guardian e Time danno a Once Upon A Time in Hollywood il massimo dei voti, le altre testate garantendogli una media altissima. E siccome difficilmente andrà via a mani vuote, lo si consideri in ogni categoria, compresa quella del migliore attore.
Young Ahmed dei Dardenne ottiene una valutazione media: alla stroncatura del Time (l’unica davvero di peso) fa fronte la buona accoglienza di una testata prestigiosa come Sight&Sound. L’esperienza ci insegna (i riconoscimenti ottenuti dai belgi non sono stati pochi in questi anni) che proprio questi film – realismo, parabola, sguardo sul contemporaneo, temi sensibili – sono quelli sui quali si cristallizzano i favori della giuria allorquando non riesce a trovare un accordo sui titoli maggiori. In questo senso, stante anche la buona accoglienza, non sorprende che Loach sia un nome che, ancora una volta, circoli come possibile premiato.
Mediamente buone le reazioni per La Gomera, il bizzarro esercizio di Corneliu Porumboiu: film troppo eccentrico e cinefilo per ottenere premi, ma che potrebbe avere dei sostenitori tra i giurati. Per quel che concerne Frankie di Ira Sachs, la critica liquida in fretta un film delicato, tessuto con intelligenza, ma troppo consapevolmente minore per avere delle serie ambizioni; probabilmente fuori posto, è l’esempio di cinema che dalla competizione ottiene più svantaggi che favori.
Chi invece potrebbe sbaragliare il campo è Parasite (recensione in arrivo): divertente, spietato, urlatamente metaforico, il film di Bong è anche il titolo più politico che il concorso ospiti. Critica adorante, impossibile che la giuria se ne dimentichi.
Se Xavier Dolan con Matthias & Maxime, con precisione svizzera, spacca a metà le testate (giudizi anche molto positivi a fronte di giudizi anche molto negativi, tiepidi di media – ne diremo, ah se ne diremo -), il nostro Bellocchio con Il traditore (recensione in arrivo) ottiene grandi applausi (quale film non li ottiene, del resto?) e, ovviamente, moltissimo spazio sulle testate italiane: il film è davvero bello, ma, come al solito, basta estendere lo sguardo fuori dall’Italia per accorgersi che non tutti sono d’accordo e che non ci dovremo sorprendere qualora non lo trovassimo nel palmarès. Anche se L’interpretazione di Favino…
Piace il Desplechin di Roubaix, une lumière e, al netto delle ridicole polemiche, anche il secondo capitolo del Mektoub di Kechiche (Intermezzo), ma l’outsider vero di questa sera, tra l’altro molto sostenuto dalla critica, è Portrait de la jeune fille en feu di Céline Sciamma, in seria corsa anche per le due interpreti. Finissima riflessione teorica associata a un prosciugato, rigoroso racconto passionale, tutto proteso alla sovrapposizione dello sguardo amoroso a quello d’artista (con vertigini metatestuali e, sapendo un po’ di gossip, anche extratestuali). A voler essere un po’ critici, forse l’insistenza sul concetto di fondo a un tratto determina rigidità e un sospetto di intellettualismo in eccesso, ma è davvero cercare il pelo nell’uovo, anche perché Sciamma infila un doppio finale da brivido, un 1-2 che ci costringe alla resa e non ammette repliche. Il KO è OK, insomma.