
In concorso, Wonderstruck di Todd Haynes piega l’omonimo romanzo a sottile riflessione sulla Settima Arte: un esercizio di alta regia che si dirama su due livelli di racconto e in due epoche filmiche precise. La stanza delle meraviglie è il cinema che sa restituire tutto in termini di stupore: il tempo perduto, i sogni tramontati e realizzati, la magia del teatro, lo spirito di avventura, enfatizzando i ricordi o facendoli riemergere, incidendo tutto questo nell’immaginario comune, ricorrendo sempre al suo specifico linguaggio. È un’opera fuori dagli schemi perché, partendo da un romanzo per ragazzi dell’autore di Hugo Cabret– Brian Selznick (qui anche nelle vesti di sceneggiatore) -, riesce a convertirsi in raffinata operazione, stilisticamente ardita, che gioca sulle ellissi, i ricorsi tematici, che lascia intravedere rime interne e in cui, soprattutto, la parola e il segno scorrono prima paralleli, poi si fronteggiano, unendosi infine in una celebrazione umana e artistica.
È sostanzialmente piaciuto, con forti resistenze da parte di una fetta di critica che ci ha visto una deriva stucchevole e manierata del regista. Ne riparleremo con la profondità che merita, ovviamente.
VOTO: 8
In concorso anche il nuovo film di Kornél Mundruczó, l’autore di White God, che in Jupiter’s Moon dà soprattutto prova di un talento registico da fuoriclasse: visivamente molto inventivo, il film tratta il tema dei migranti attraverso un forsennato tour de force tra i generi: dal thriller, al fanstasy fino all’action. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a una cascata di immagini così eclatante, peccato per lo script che si perde per strada.
Fischi in sala.Nella sezione Un Certain regard due opere rimarchevoli.
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Notevolissimo Lerd, di Mohammad Rasoulof, (foto) meccanismo narrativo implacabile che mette a confronto l’integrità di Reza, un padre di famiglia vessato da una compagnia locale che vuole impossessarsi della sua proprietà, e un sistema corrotto a ogni livello e che pare non potersi fronteggiare se non scendendo a spregevoli compromessi. Tutto giocato sulle continue pressioni subite dal protagonista e sui conflitti che esse determinano, sia nei suoi rapporti con le istituzioni sia nella sua relazione coniugale, il film presenta un complesso meccanismo narrativo a scatole cinesi in cui a ogni situazione ufficiale fa seguito una situazione ufficiosa, ogni mossa ha un doppio fondo, ogni passo comporta un complicato diramarsi dei percorsi possibili. La crescente labirinticità dell’intreccio viene esaltata dalla precisione della messa in scena e dalla cura visiva dei quadri.
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In Western, di Valeska Grisebach, una coproduzione bulgaro-germanica, un gruppo di lavoratori tedeschi prende quartiere in un cantiere al confine della campagna bulgara, in prossimità di un villaggio che diverrà teatro di rivalità. Giocato, fin dal titolo sull’ammicco al genere, ne ripropone, con sostanziale rispetto delle dinamiche realiste, una serie di stilemi: dall’amicizia virile ai cavalli, dalla lotta per il territorio, all’incontro-scontro tra culture diverse.