Cartolina da Cannes (18/05/2017)

LOVELESS (Andrey Zvyagintsev)

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Una coppia divorzia e cerca di vendere casa, disinteressandosi di ciò che prova il suo bambino: padre e madre non ci pensano proprio a contenderselo, anzi, ognuno ha trovato una nuova vita da vivere, un nuovo partner, e per questa creatura non sembra esserci posto nel percorso rinnovato che i due hanno deciso di intraprendere: è solo un ingombro, un fastidio, un pacco di cui liberarsi. Fin quando non scompare misteriosamente.
_x000D_Il cinema, esplicito all’estremo, di Andrey Zvyagintsev mi attrae e respinge allo stesso tempo: impossibile non riconoscere la capacità del regista di creare scene altamente suggestive (l’incedere marziale delle raggelate immagini naturalistiche dell’incipit; una porta si chiude e rivela la presenza del figlio piangente; una scena di sesso con una donna incinta – quante ne avete viste al cinema? -). Ma provo ripulsa per questo modo così estremo e oltranzista di esplicitare tutto, di mettere all’angolo lo spettatore, impedirgli di elaborare quello che sta guardando, il fornirgli le chiavi di lettura a ogni piè sospinto: a cominciare dal titolo che sintetizza a dovere quello che c’è da sapere sulla storia che stiamo seguendo.
_x000D_ Così anche la detection è solo l’ennesimo pretesto per dotarci di qualche altro strumento per l’unica interpretazione che l’autore ci permette: quella rigorosamente autentica.
_x000D_Così anche l’incontro con la madre della protagonista è solo un modo per squadernare le origini di questa indifferenza, di questa freddezza glaciale, di un’aridità che si perpetua di generazione in generazione.

Peccato che questa volta, alla tendenza del regista ad esaurire ogni spazio di analisi (che ha dello scientifico e del maniacale, quindi anche dell’ammirevole) si aggiunge un moralismo peloso davvero esasperante: allora i suoi personaggi sono costantemente ipnotizzati davanti a uno smartphone, si fanno selfie di continuo, fotografano il cibo che mangiano, usano i social e Skype, cercano risposte su Google («Il mondo sta impazzendo», si perita di dirci – ché a noi sta parlando – un collega del papà del bimbo scomparso) A Zvyagintsev questa cosa proprio non va, non riesce proprio ad accettare che i tempi cambino e che le stupidaggini di ieri siano sostituite da quelle dell’oggi.
Si fa presto, allora, a passare dal rispetto per la pervicacia del discorso, allo sbuffare per l’ennesimo pistolotto bacchettone incorporato nell’inquadratura di un volto illuminato dalla luce dello smartphone. Andrey Zvyagintsev è come la mamma: a volte non ha nemmeno bisogno di dirti le cose, sa come fartele capire, gli basta uno sguardo e già ti sta redarguendo. In questo modo lo svolgimento della narrazione sembra viziato da parentesi continue, note a margine tanto pedanti quanto superflue (il padre che si libera del nuovo pupo che lo sta infastidendo buttandolo di peso nel box). Non pago l’autore estende il discorso alla nazione: dopo un pretestuosissimo flash sul dramma in Ucraina (dal telegiornale), nell’immagine finale la protagonista – sul balcone dello splendido appartamento in cui è andata a vivere col nuovo compagno – corre verso il nulla sul suo tapis roulant: indossa una tuta con la scritta RUSSIA a caratteri cubitali. Casomai ci fossero miopi in sala.

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VOTO: 5