CARTOLINA DA CANNES (16 MAGGIO)

SAUL FIA (Son of Saul)
Laszlo NemesL’esperienza insegna che quando il festival di Cannes sceglie di ospitare un’opera prima nel concorso principale, è lecito opporre qualche diffidenza. Viene in mente, ad esempio, l’esordio infelice di qualche anno fa di una giovane protetta di Jane Campion; oppure quello, ancora peggiore, di un ex assistente di Haneke che aveva provato a sfruttare l’allora fresco caso della giovane austriaca rinchiusa per anni in un seminterrato.
_x000D_Si capisce molto meglio, invece, l’inserimento in competizione di Saul fia (“Il figlio di Saul”) di Laszlo Nemes. Film che potrebbe non essere immune da critiche e riserve, visto lo spinoso soggetto (Auschwitz, 1944), ma la cui potenza è un fatto oggettivo. Dal primo istante, la cinepresa si attacca strettissima a Saul, il protagonista, un ebreo ungherese membro del Sonderkommando (i temporanei “assistenti forzati” dei nazisti, scelti fra i prigionieri); da lì fino alla fine, lo lascia pochissimo, e comunque sempre con cognizione di causa._x000D_
L’annosa (oziosa?), inevitabile questione circa la rappresentabilità o meno dei campi, e annessi corollari morali, è risolta confinando la ricostruzione della “vita” ad Auschwitz ai margini: la cinepresa è così costantemente aggrappata alla nuca e al volto del protagonista, è così decisa ad aderire al suo punto di vista, che di ciò che accade intorno a lui abbiamo solo una percezione ottica confusa, spesso sfocata, estremamente frammentaria. Mai abbiamo una visione d’insieme di quell’infernale ambiente. Stiamo sempre addosso a Saul, che si muove di continuo (come del resto la macchina da presa), perché tutto, in quel luogo, è in perenne movimento. La Auschwitz furiosamente cinetica che ci mostra Nemes è infatti innanzitutto una fabbrica: si sgobba di continuo, e la morte viene somministrata secondo una vera e propria catena di montaggio, strenuamente votata all’efficienza. Negli interstizi, quando si può, si trama contro l’oppressione. Ma Saul non ha gli stessi fini dei compagni. Egli ha un’idea fissa: dare sepoltura secondo i crismi della propria religione a un bambino (forse il figlio, ma solo forse) che per un istante è parso sopravvivere alla camera a gas. Gli altri prigionieri, più comprensibilmente, tentano di organizzare un’insurrezione; ma a lui non interessa: a lui interessa solo la propria ostinata missione.
_x000D_Non meno caparbio è il partito preso della regia, che immerge lo spettatore dentro un ambiente rispetto al quale può contare su pochissime coordinate spaziali, e la cui visibilità è limitata proprio a causa dell’esagerata prossimità con il protagonista. Ne consegue un certo effetto-videogame: se ai maligni che parleranno di “Grand Theft Auschwitz” sarà difficile dare torto, d’altro canto questo artificio rende pienamente giustizia all’ossessione di Saul, che percorre un sentiero già inesorabilmente tracciato (come in un videogame…), e sceglie di essere cieco verso il proprio ineluttabile destino per focalizzarsi invece con meticolosa testardaggine sul suo piano. Di Auschwitz, lo spettatore vede pochissimo: vede quasi solo il suo “avatar”, ovvero Saul, perché quest’ultimo ha lui stesso occhi solo per il proprio folle voto.
Con il suo virtuosistico tour de force tecnico, che alterna egregiamente le azioni, le pause in cui cinepresa e attori si muovono senza fare niente di preciso, e le rifrazioni emotive di ciò che accade sul volto del protagonista, Nemes dà alla sua opera una paurosa, febbrile, tremendamente efficace tenuta ritmica. È giusto spettacolarizzare l’orrore? Una domanda inevitabile, che tuttavia non può applicarsi davvero a Saul fia. Perché se spettacolarizzazione c’è (e senz’altro c’è), essa non è al centro del film, ma ai margini; non è l’oggetto del film, ma un mero supporto laterale e occasionale al suo intento principale, che è quello di farci piombare nella pelle di Saul per spingerci a inventare una risposta a questa domanda: è giusto sacrificare un numero imprecisato di vite umane per poter depositare una testimonianza? Se la risposta è affermativa, allora non solo vittime e carnefici diventano ugualmente indifferenti, ma diventano indifferenti anche gli scrupoli morali relativi alla spettacolarizzazione che il film sceglie di operare rispetto alla propria materia, ai margini della propria materia. La risposta, in ogni caso, dobbiamo sceglierla noi: proprio perché gli sta costantemente incollato, l’occhio della cinepresa non giudica Saul, lo segue solo nella sua spirale autodistruttiva.
_x000D_Non è un caso se una delle sequenze ricostruisce i fortunosi scatti, da parte di un Sonderkommando, di alcune celeberrime fotografie dell’interno del campo, le quali storicamente sono, in effetti, arrivate miracolosamente fino a noi. La testimonianza è al centro di tutto, e sul suo prezzo Saul fia ci impone di interrogarci. Ma sullo sfondo preme un interrogativo ancora più pressante, seppure il film non lo formuli apertamente: legando la questione della testimonianza alla prospettiva prettamente cristiana della Resurrezione (come finisce per avvenire in Saul fia), si rende davvero giustizia alla memoria di ciò che fu inflitto a una religione come l’ebraismo, che a questo proposito si tiene, naturalmente, su posizioni ben distinte?
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_x000D_Voto: 7.5
Note sui film di Muntean e KawaseAssai meno moralmente incandescente, nonostante le ambizioni, è Un etaj mai jos (“Un piano più sotto”), di Radu Muntean. Film piuttosto riuscito, ma che aderisce troppo pedissequamente, e senza veri motivi di originalità, all'ormai consolidata formula del film rumeno da festival. Ancora una volta, un precisissimo minimalismo fatto di piani lunghi e millimetrica direzione degli attori esplora il labile confine tra pubblico e privato, legge e anomia, astrazione finzionale e concretezza naturalistica. Lodevole, ma ormai on connait la chanson. Insieme alla deludentissima ultima opera di Naomi Kawase (An), praticamente una parodia del suo cinema, Un etaj mai jos ha inaugurato una sezione laterale (“Un certain regard”) che vedrà solo nei prossimi giorni affacciarsi elementi che già ora si annunciano di notevole interesse (Weerasethekul, Singh, Mendoza…)._x000D_