1981. Dopo le elezioni la Francia è a un promettente inizio: non Élisabeth, mollata dal marito e con due figli da mantenere. Un nucleo fragile e un pugno di personaggi che entrano ed escono dalla sua quotidianità: Hers, accostando frammenti di vita, sottintendendo ferite, in parte rievocandole (il padre/marito, un fantasma che aleggia), compone una sorta di saga minimalista che restituisce un ambiente e un’atmosfera, prima che percorsi narrativi precisi. E che si fa anche ritratto sensibile di un’epoca, con un accorto uso di immagini di repertorio, mischiate alla ricostruzione, e qualche affondo letterario – senza insistere, ché la scrittura è fluida e il tocco delicato -. E mentre dice dove va a posarsi lo sguardo (Rohmer al cinema), dà pudicamente voce a un ottimismo ignoto ai nostri tempi.
Come leggiamo sulla scheda redatta dal Festival: cosa succederebbe se facesse il tipo di gesti che cambiano davvero la vita?
In questo seguito alla bella Amanda, Mikhaël Hers rivolge il suo sguardo ipersensibile agli anni ’80 e ai momenti apparentemente banali della vita di una famiglia che danno forma a ricordi indelebili. Un gran numero di personaggi popola questa saga nostalgica di auto-invenzione. Il regista onora la loro vulnerabilità e gentilezza in un modo che si distingue in un panorama cinematografico spesso affascinato da antieroi disillusi. Questo è il film nella sua forma più profondamente intima e affascinante, il tipo che, quando riflettiamo su come funzioniamo come società, ci dà un’idea del perché l’amore conta.