CARTOLINA CON PALMA

Non si può negare che ci sia una certa logica, nell'attribuzione della Palma d'Oro di questa sessantottesima edizione del Festival di Cannes: due tra i registi più sopravvalutati dell'intero cinema contemporaneo hanno premiato quello che forse è il regista più sopravvalutato del cinema francese. Certo, tra i Coen e Jacques Audiard passano diverse differenze: laddove i primi sono solo mediocri e furbetti avvocati della macchina da presa, che fanno e disfanno le leggi/convenzioni dei generi a proprio uso e consumo limitandosi a bearsi di questa piccina prerogativa, il secondo è un personaggio genuinamente, pupiavatianamente squallido, che si trincera dietro il proprio cinismo e che fa film che trasudano quell'inconfondibile ansia di dimostrare (a non si sa bene chi, peraltro) che “io sì che so come si fa a stare al mondo” che è da sempre il marchio di fabbrica dei figli di papà cripto-complessati di ogni latitudine (il padre, Michel Audiard, era infatti uno sceneggiatore di successo, magari pure lui discutibile, ma sulla cui levatura è incauto dubitare).
_x000D_E poi, piacciano o no, i Coen il cinema sanno guardarlo. Farlo magari è un altro paio di maniche, ma quando si tratta di assorbirlo con cognizione di causa e soppesarlo e entrare nei suoi meccanismi e riconoscere il suo valore allorché esso emerge, ecco, questo indubbiamente lo sanno fare. Proprio qui a Cannes ne avevamo avuto la conferma definitiva un paio di anni fa, quando si andarono a complimentare con Lav Diaz al termine delle quattro ore di proiezione del suo Norte. Quindi se si trovano davanti a un capolavoro come Nie Yinniang di Hou Hsiao-Hsien, non esitano a tributargli un sacrosanto Premio alla Regia. Apprezzabile anche il coraggio di conferire all'esordiente Nemes nientemeno che il Gran Prix (ma riuscirà il giovane ungherese a mantenere queste sue tonitruanti promesse? O Saul fia sarà destinato, proprio in virtù dell'eccezionalità di un progetto del genere, a rimanere un brillante unicum?), o all'attrice di Carol di Todd Haynes che non ci si aspetta (Rooney Mara e non la favorita Cate Blanchett)? Quanto invece all'interprete maschile, tutto sommato benvenuta la consacrazione di Vincent Lindon.
Stendiamo un velo pietoso sul pessimo Chronic di Michel Franco (Premio alla Migliore Sceneggiatura un film che di punto in bianco fa investire da un auto il protagonista nell'ultima inquadratura perché sennò non sa come finire?), glissiamo con un cordiale “e chi se ne frega?” sull'assenza di premi agli italiani (su cui si stanno, come da copione, scatenando i media nostrani), e apprestiamoci a dimenticare un concorso da dimissioni immediate, che se non fosse per Yorgos Lanthimos (ineccepibile il Gran Premio della Giuria al suo The Lobster) apparirebbe come nulla più che un pallidissimo pretesto per mostrare al mondo le due straordinarie opere cinesi (una delle quali, più precisamente, taiwanese): Shan he gu ren di Jia Zhang-Ke (purtroppo a mani vuote) e Nie Yinniang di Hou Hsiao-Hsien.
_x000D_Per fortuna che c'erano le sezioni collaterali (senza dimenticare il Fuori Concorso, su cui svettava la Pixar con Inside Out, e Barbet Schroeder col suo adamantino Amnesia). In un “Un Certain Regard” in cui sono stati confinati Apichatpong Weerasethekul (non dei suoi migliori, il suo Cemetery of Splendour) e Kurosawa Kiyoshi (assai affacinante il suo Kishibe no tabi, incursione fuori da ogni genere, ma dentro il confine sottilissimo vita-morte, esplorato attraverso una scrittura aerea e liberissima), dispiace non veder premiato Gurvinder Singh, giovane autore da incoraggiare con ogni mezzo. Dignitoso, ad ogni modo, il primo premio all'islandese Rams.
Dall'inizio alla fine della kermesse, tra gli addetti ai lavori è serpeggiata insistentemente una domanda: “che ci fa Arnaud Desplechin alla Quinzaine, quando il contingente francese nella competizione principale fa così oltraggiosamente schifo?”. La vittoria del suo Trois souvenirs de ma jeunesse alla “Quinzaine des Réalisateurs” rimedia alla meglio a questa svista piuttosto risibile. Il film di Desplechin, apprezzatissimo da pressoché chiunque, è forse un filino sopravvalutato: il cineasta transalpino è come sempre immensamente bravo, e si serve al meglio della potenza spettacolare di quell'intercapedine tra teatro e quality television in cui ha scelto da anni di incastrarsi per sbozzare i suoi caratteri da autentico maestro – ma appunto, rimane in territorio conosciuto, e non mette il naso fuori dalla sua comfort zone neanche per sbaglio.
_x000D_Quest'anno, però, è stato soprattutto Miguel Gomes a tenere alto il vessillo della Quinzaine. Le sei ore e passa (in tre “volumi” di un paio d'ore ciascuno, snodantisi lungo tutta la durata della manifestazione) del suo Le mille una notte sono un geniale sopralluogo sulla crisi economica che sta devastando il Portogallo (e l'Europa tutta), condotto attraverso una struttura intelligentissimamente digressiva, non con le armi del reportage documentario, ma con quelle dell'indefinita, illimitata affabulazione finzionale. Per quanto si salti di palo in frasca (e lo si fa dall'inizio alla fine, controbilanciando la fuga incessante della narrazione con un preziosismo figurativo squisitamente statico, oltre che felicemente cinegenico), al nocciolo rovente della crisi si finisce per tornare sempre. Non si tratta certo di proporre soluzioni, né di arrischiarsi a mettere insieme una narrazione totalizzante sulla crisi, ma piuttosto di ricordarci che qualsiasi narrazione specifica, personale, individuale della crisi siamo portati a fare, essa esige da noi il riconoscerci al proprio interno: solo così, essa si e ci sbalza al di fuori, collegandosi così alle miriadi di altre parcellizzate narrazioni possibili. Sbilanciarsi e raccontare, affinché il proprio racconto intercetti l'infinità di racconti tutt'intorno a noi, e se ne faccia intercettare. È questo cambio di prospettiva che incoraggia e cerca di trasmettere Gomes, con un'opera ambiziosissima che non avrebbe affatto sfigurato nel concorso principale. Specialmente alla luce della clamorosa mediocrità che ha afflitto la selezione ufficiale di questa edizione 2015.