
_x000D_Già a fine Aprile, all’annuncio della line-up, si profilava un’edizione 2012 pochissimo coraggiosa. Così è stato: a parte Léos Carax (da quasi trent’anni, quelle poche volte che esce dal suo guscio, immancabilmente spiazzante – nel bene e nel male, ma stavolta assolutamente nel bene), davvero nessuna sorpresa in questa sessantacinquesima competizione cannense. Anzi. Cristian Mungiu, Sergej Loznitsa, Jeff Nichols e Lee Daniels si segnalano in negativo con lavori che sostanzialmente vivacchiano sul credito acquisito con le opere che poco tempo fa li hanno fatti emergere. Lavori, insomma, che il festival più importante del mondo avrebbe dovuto rispedire al mittente in quanto segni di una sostanziale involuzione. Stessa cosa vale per Kiarostami, cineasta tutt’altro che alle prime armi ma che era “rinato” con Copia conforme, e che ora trapianta a Tokyo vecchi suoi motivi iraniani nel poco convincente Like Someone in Love. Tutto il contrario di Hong Sang-Soo, che accoglie la Huppert in Corea per quello che è probabilmente il coronamento, sin qui, del suo inconfondibile cinema. Ma se parliamo di coronamenti di tutta una carriera, impossibile non ricordare l’epocale Vous n’avez encore rien vu di Alain Resnais (il film migliore di Cannes 2012), nonché la poco compresa esattezza politica dei film degli stagionati Cronenberg e Nasrallah (ma vale anche per il più giovane Dominik). Garrone invece, con buona pace di sostenitori e detrattori ugualmente prevenuti, compie un positivo passo in avanti rispetto alla banalità di Gomorra.
Il suo Reality è, ahimè, l'unico premio meritato di un palmares scandaloso come pochi in questi ultimi anni. I precedenti di Nanni Moretti come presidente (Leone d'Oro a Monsoon Wedding di Mira Nair a Venezia 2001, in un concorso pieno di opere infinitamente più meritevoli) non facevano affatto ben sperare. E così è stato. Assolutamente inspiegabile la Palma d'Oro a Haneke per un film che si limita a riproporre la solita vecchia ricetta “teorica” (si fa per dire) del regista austriaco in un dramma da camera, non ottenendo altro che di imbrigliare inutilmente due grandissimi attori. Quanto alla Miglior Regia attribuita all'inguardabile pasticcio di Carlos Reygadas, essa sembrerebbe manifestare esclusivamente il non avere la minima idea di cosa sia la regia cinematografica.
_x000D_Non vanno meglio le cose nella sezione minore Un Certain Regard, dove si segnala soprattutto lo strepitoso Mishima di Koji Wakamatsu. Segnali di ripresa invece (dopo due anni decisamente negativi) per la Quinzaine des Realisateurs, vinta dall'intelligentemente soderberghiano No di Pablo Larrain (ma perché non era nel concorso principale?)
_x000D_Insomma: il dato di base, non troppo incoraggiante, è che, vista questa selezione di Cannes, volenti o nolenti avremo una grande Venezia, nonostante tutto, pure quest'anno._x000D_