Cartolina con palma

Ve lo immaginate Robert De Niro mentre guarda Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul durante la proiezione per la giuria del 2010? Sbadigli, torsioni del tronco, testa che cade. Insomma, almeno una palma d’oro strameritata, innovativa, coraggiosa, monumentale, come quella dell’anno scorso, l’abbiamo salvata. Per quest’anno, evidentemente, non c’era speranza. Il livello della Competizione cannense 2011 non era dei più elevati. E i giurati, capitanati da un signore che andrà al cinema cinque sei volte l’anno e se ci va guarda roba tipo Vi presento i nostri o Stanno tutti bene, non potevano di certo mimetizzare il loro pallido sapere e la loro risicata esperienza in materia.
_x000D_Il palmares 2011 con De Niro presidente ha tutta l’aria della superficialità nell’approccio e della spaventevole impreparazione alla visione. Ad ogni abbaglio un premio, ad ogni spunto spettacolarizzato un alloro. Il Grand Prix (premio che andò tre anni fa a Il Divo di Sorrentino) a Polisse di Maiwenn, è uno di quegli imbarazzanti dazi da pagare al paese ospitante. Un ritratto tardo televisivo di un gruppo di poliziotti parigini coscienziosi alle prese coi crimini contro i bambini che avrà impressionato la giuria per il forte impegno socio-politico, ma non di certo per l’impegno profuso nel proporre un’idea che una di cinema.
Sul versante dei migliori attori non possiamo che confermare la voce insistente girata sulla Croisette: De Niro aveva un sacchetto come quello per i numeri della tombola, ma al posto delle cifre aveva le lettere dell’alfabeto. Estratta la D, si sono subito setacciati i credits dei vari film in Competizione e sono stati trovati Jean Dujardin (preoccupante il suo ridanciano protagonista di The Artist, inutile perlina muta e bianco&nero del festival – era Fuori competizione ma in corso d’opera inserita in gara) e la molle, impalpabile, indigeribile Kirsten Dunst del non grato Von Trier.
_x000D_Fatti gli italiani toccava fare l’Italia. La ricerca per il gran premio della giuria ha portato ad un ex aequo di sopraffina obsolescenza: Le gamin au velo dei Dardenne e Once upon a time in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan. De Niro e Jude Law devono averli scoperti adesso in questa abbuffata di film lunghi e noiosi che talvolta è Cannes, ed è stato irrefrenabile far capire che gli sembravamo bravi.
Il premio alla regia per Nicolas Winding Refn è un altro grosso malinteso del verdetto finale. Possibile che creare un’atmosfera o costruire un’ambientazione sia scambiato per una buona regia? Dove sono finiti tutti gli altri aspetti del mestiere, come la direzione degli attori, in Drive persasi tra le increspature improvvise dello splatter?
_x000D_Infine, senza offendere Terrence Malick e il suo The tree of life, autentica sorpresa anche se con un inserto alla Godfrey Reggio/National Geographic che appiattisce la compattezza e sontuosità di un testo recitato davvero insuperabile, che male ci sarebbe stato se non avesse portato a casa alcun premio? Quale il bisogno di premiare un film comunque hollywoodiano, comunque spettacolare, comunque extra budget, comunque tanto, troppo oltre la concorrenza? L’avevo già scritto giorni fa da Cannes: non premiare Le Havre sarebbe stato un delitto. E il gesto omicida è stato compiuto.