TRAMA
Carmen, una scimmia bonobo, scappa dal centro studi in cui vengono esaminate le sue facoltà intellettive e attitudini linguistiche ed entra nella vita di una coppia.
RECENSIONI
Partendo da un reale fatto di cronaca Limosin, regista del mediocre NOVO, azzarda un grottesco che non sorprende, trattando un tema, la società umana vista dal punto di vista dell’animale, già affrontato (da altri e meglio) in passato. Di scrittura alquanto rozza, formalmente scialbo, il film dispensa strampalaggini senza un disegno coerente, abbozzando i personaggi e le loro dinamiche relazionali. Carmen dà amore ma ottiene solo rifiuto e tradimento, l’essere umano è indifferente e ha paura dei sentimenti ma alla fine, di fronte al dramma della scimmia, fa il miracolo e salva l’animale dal suo comatoso rifiuto della vita.
Un po’ Ferreri dei poveri, un po’ Oshima in vacanza, CARMEN si regge su una confusione di piani scontata in cui tutto, anche il parallelo tra l’osservazione delle scimmie in gabbia e quello degli impiegati negli uffici, diventa metafora gridata.
Più che trascurabile.

Primate ci sarai
Il sonno più profondo o la risata più grassa del Festival (a scelta) spettano puntualmente a Limosin: questo regista (voglio esagerare), per dirla con parole sue, ha presentato un film su come si vedono le persone con gli occhi degli animali che ovviamente sono migliori degli uomini. La giovane bonobo protagonista, elemento migliore di un cast infernale, si offende quando il dottore palpa l’assistente (carenza di affetto), fugge e passa di mano in mano, trova l’amore a spese di un’adorabile coppia che prima la abbandona e poi la riprende. Regia bastarda e ricattatoria, dialoghi da crisi di pianto, una storia… quale storia?, finale che scorre sulle note della canzone L’amore è figlio di uno zingaro. Che altro? Il regista ci tiene a far notare che soltanto l’1,6% dei nostri geni è differente da quello di un bonobo, con il suo film lo dimostra pienamente.
