TRAMA
Quarant’anni fa, durante la rivolta per rovesciare il regime dello Scià in Iran, i dimostranti diedero fuoco alle sale cinematografiche in segno di protesta contro la cultura occidentale. Molti cinema furono dati alle fiamme. In un tragico episodio, venne bruciato un cinema con quattrocento persone all’interno, la maggior parte delle quali furono arse vive. Sono passati quarant’anni e, nell’Iran dei nostri giorni, quattro individui decidono a loro volta di dar fuoco a un cinema. Il loro obiettivo è una sala in cui si proietta un film su un missile dissotterrato e inesploso. Il passato e il presente si incontreranno?
RECENSIONI
L’incendio – realmente accaduto – del Cinema Rex di Abadan, che nel 1978 fa divampare la rivoluzione islamica. Il tentativo di un simile (o la ricostruzione del medesimo?) attentato da parte di un disturbato piromane. Il film di un militare che ha perduto il proprio riflesso dopo aver investito la figlia. Verità e finzione, passato e presente si mescolano e sovrappongono vertiginosamente.
Dopo la tetra quanto trascinante spirale inarrestabile del sensazionale Fish & Cat – premio speciale per il contenuto innovativo a Venezia 70 – l’iraniano Shahram Mokri torna a rapire lo spettatore con il suo inconfondibile approccio cubista alla narrazione per immagini, qui ancora più radicale nella sua spiccata tridimensionalità, che giocando su mirabolanti intersezioni e rispecchiamenti di storie e Storia impone stavolta la rinuncia allo strumento prediletto del piano sequenza integrale (la cui contraddittoria linearità esaltava la curvatura ricorsiva del tempo), frammentato ora in scene che però continuano per lo più a schivare i canonici stacchi. Così il film si apre con la telecamera che dalla sala cinematografica entra senza soluzione di continuità nel finto film “da festival” di Mokri in essa proiettato e si chiude con il movimento inverso, ad allargare sull’esterno del cinema in un’inquadratura che finalmente sintetizza i molteplici piani di realtà e di tempo, precisamente incastonati non più in una spirale ma in una trivella che, col medesimo movimento in profondità, mette in comunicazione Arte e Vita. Sempre in piano sequenza si mostra il viaggio in auto di due donne, due generazioni, due Iran a confronto (“io sono l’inizio e tu la fine”), sospese in un tempo bino e universale: è il 1978 e il 2020, il cinema proietta il nuovo film di Mokri ma anche il classico “I cervi” (o “I cari”, titolo e interpretazione duplici, biforcuti – si sottolinea più volte) come il Rex dell’attentato; una rivoluzione restia al vero cambiamento non può impedire che la Storia si ripeta, ma il Cinema può riscriverla.
È infatti a partire dal film interno che si innesca l’uscita dal circolo vizioso e deterministico: intrappolati nel loop prismatico multiprospettico mokriano (un Fish & Cat in miniatura, ovviamente in piano sequenza ed ennesimo film dentro al film), i militari e le ragazze riescono ad affrancarsi solo grazie alla potenza magnetica di un proiettore acceso; ritrovata la capacità di rispecchiarsi e dunque significare nello schermo dello stagno stregato, il sergente potrà comunicare con il piromane fuori dal film, sventando – come un Tarantino speculare e ancora più meta – l’attentato (e forse l’avvento della teocrazia?)
Nel suo labirinto di sdoppiamenti, riflessi e proiezioni (a cui il piromane viene introdotto da due sorelle gemelle, guide di un museo del cinema, santuario della duplicità e della duplicazione; ma il titolo stesso del film e del film feticcio al suo interno rimanda, oltre che alle circostanze dell’attentato e al trauma del militare, a un pressoché omonimo film muto del 1912 nel quale un cinema prende fuoco), il regista padroneggia la messinscena con un uso magistrale della profondità di campo (a restituire la stratificazione del narrato) e mette a nudo il dispositivo cinematografico, vero protagonista di questo film, nella sua produzione di significato per mezzo dell’ossessiva reiterazione di campi e controcampi, non più nascosta dalla simultaneità artefatta del montaggio. Un saggio lucidamente formale e al contempo politicamente graffiante (ma nascosto in Orizzonti, dove il Leone alla regia va a un Lav Diaz piuttosto superfluo), una sintesi dirompente di pubblico e privato (la scelta dell’episodio è più che mai oculata: Mokri è nato due giorni prima dell’attentato in questione), forgiata tra le fiamme non più di un cinema arso, ma di un Cinema ardente.