Drammatico, Recensione, Thriller

CAPTAIN PHILLIPS

Titolo OriginaleCaptain Phillips
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2013
Durata134'
Sceneggiatura
Trattodall'autobiografia di Richard Phillips
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Aprile 2009, la nave mercantile Maersk Alabama viene dirottata da un gruppo di 4 pirati somali. Il suo Capitano, Richard Phillips, verrà preso in ostaggio.

RECENSIONI

Cristallizzato nella sua ipertrofia stilistica, frenetica e frammentaria, Paul Greengrass insiste nel riallacciare una connessione con il dato reale, vi si immerge per accaparrarsi una visione d’insieme; ciò che è stato, il rapimento di Richard Phillips nell’Aprile 2009 da parte dei pirati somali, diventa un terreno strategico dello sguardo, palpitante nell’immergersi dentro di esso per estrapolarne una (im)possibile testimonianza. E’ come se la sua eco documentaristica creasse un conflitto aperto con l’inevitabile rivestimento finzionale, in una serrata lotta dove la tensione dei punti di macchina, in continua proliferazione, hanno il fine ultimo di comprenderlo.

Phillips dissimula il reale per sopravvivere, indossa moralmente le vestigia del capitalismo per aggirare le intenzioni dei suoi rapitori, ne condiziona le scelte con una comprensione che afferma, con sottigliezza, il vero gioco dei ruoli.  Sono i somali i veri ostaggi dell’americano, giostrati con intelligenza, illusi da un ars retorica che li circuisce fino alla più che prevedibile risoluzione. Rimane pur sempre uno spiraglio nell’attività di un occhio mai fermo, assiduo nel tentativo di andare oltre la freddezza granitica del Capitano e capace di metterne in scacco l’attività manipolatoria. Perché è la sua recita che, necessariamente, rischia di costargli la vita. In questo frangente Greengrass opta per un gesto d’umanità che scagiona (non senza un’altra complementare retorica) le scelte del suo protagonista. E nel climax finale, solo l’urlo del privato e l’accettazione della propria fragilità possono permettere ai Navy Seals di distinguere i rapitori dall’ostaggio, dando un senso a tutta quella tecnica fino a quel momento sotto lo scacco della stessa ideologia che si prefiggeva di salvare. Quel che resta è un bambino(ne) sotto shock, di cui la macchina da presa registra la nuda e afasica verità, regredita tra le lacrime e macchiata di sangue.