Fantasy, Horror, Recensione, Sentimentale

CAPPUCCETTO ROSSO SANGUE

TRAMA

Chi è il lupo mannaro che turba la quiete di un remoto villaggio? E perché sembra interessato alla giovane Valerie, contesa tra il povero Peter e il ricco Henry?

RECENSIONI

Il successo colossale di Alice in Wonderland ha aperto la strada alla trasposizione live di favole celeberrime. Mentre è già pronto Beastly da "La Bella e la Bestia" e molti altri film sono in fase progettuale (tra cui ben due versioni differenti di Biancaneve), arriva sugli schermi Cappuccetto Rosso, solo da noi con l'aggiunta nel titolo dell'accattivante sangue, per connotare, purtroppo immotivatamente, il genere di riferimento. Non che il fluido purpureo sia assente, anzi, di morti azzannati ce ne sono parecchi, il fatto è che gli artigli (virtuali) della belva non graffiano.

Colpisce che per dare immagini a un racconto così sedimentato nell'immaginario non si trovi di meglio che rivestirlo di una cornice di amour fou adolescenziale scimmiottante, anche nell'estetica, i conflitti della saga del momento (Twilight & Co). Se la scelta di Catherine Hardwicke, che quella saga l'ha avviata, poteva in tal senso sembrare perfetta, la totale compiacenza nei confronti del target di riferimento (esclusivamente i teenager) priva la favola di qualunque implicazione che vada al di là del triangolino amoroso frettolosamente imbastito. Per agganciare il restante pubblico si butta lì un licantropo telepatico (sic) e malamente affidato al digitale, e una sorta di giallo intorno all'identità umana del peloso assassino. La cui scoperta, tra l'altro, aggiunge ben poco al mistero, grande assente della pellicola. Il ritmo, infatti, è talmente concitato che in ogni sequenza i personaggi sono obbligati a scambiarsi battute chiave al fine di consentire il prosieguo del racconto, ma nulla ha tempo e modo di sedimentarsi.

Se la meccanica degli eventi avrebbe anche un senso, la raffica di false piste, sospetti, decessi, botta e risposta, risulta più frastornante che coinvolgente. A meno di non trovare suggestivi un'ambientazione fiabesca palesemente fasulla (c'è neve finta dappertutto e nessuno ha mai freddo, gli abbigliamenti sono i più disparati e le scenografie non stonerebbero come attrazioni di un parco giochi), una computer grafica quanto mai invasiva (a partire dalla lunga panoramica che accompagna i titoli di testa) e i triti conflitti familiari previsti dalla sceneggiatura: la mamma che vuole il matrimonio di interesse, la figlia promessa al ricco che però ama il povero, il papà che non si sa bene cosa voglia. Tra i tanti personaggi stereotipati (non manca lo scemo del villaggio e c'è pure il cattivone ammazzalupi) l'unico a offrire qualche spunto di interesse è, inizialmente, il promesso sposo benestante, generalmente, per antitesi rispetto all'amato, brutto e antipatico e invece belloccio e ragionevole, ma non c'è tempo di accorgersene perché l'azione incalza e lo spunto si perde nell'incedere frenetico.

Poco aiuta il cast, nonostante la presenza di attori bravi come Julie Christie (sprecata), Virginia Madsen (più zia che madre) e Gary Oldman (i suoi consueti eccessi rischiano di essere i momenti migliori della pellicola, il che è tutto dire). Discorso a parte per Amanda Seyfried, perfetta icona di turbamento adolescenziale, e per i due rivali Shiloh Fernandez e Max Irons, che invece scivolano dalla memoria insieme ai titoli di coda. Della favola originaria resta il mantello rosso che ricopre la protagonista (funzionale a contrasti cromatici d'effetto), un onirico "Che occhi grandi che hai...", dai risvolti soprattutto comici, ma perlomeno spiazzanti, e null'altro. Le tentazioni del Male e le ambiguità del Bene soccombono così a un approccio impersonale che soffoca qualunque ambizione in una resa da telefilm per la tv dei ragazzi.