TRAMA
Max Cady esce di prigione dopo quattordici anni e perseguita il suo ex – difensore d’ufficio e la sua famiglia. Scaltro, non lascia prove e arriva a violentare una sua collega.
RECENSIONI
Scorsese si dà al thriller puro e rimette mano a Il Promontorio della Paura (1961) di J. Lee Thompson, omaggiandolo con piccole parti per gli interpreti originali (Gregory Peck, Robert Mitchum, Martin Balsam). Ma non si limita alla messinscena della suspense restituendo un prodotto di genere con firma eccellente: da sempre interessato allo studio della Violenza, attraverso il personaggio di Max Cady inscena la fascinazione morbosa del Male, lusinga lo spettatore tanto quanto le vittime della finzione e, infine, spiazza con l’insieme di emozioni che riesce ad evocare e con la necessaria, potente riflessione a seguire. Perché dall’Uomo Nero con le sue istanze primigenie, dall’Animale Ferito senza coscienza si è sedotti, stregati, impietositi pur sapendo che le sue azioni sono inique e i nostri sentimenti sbagliati (il senso di colpa cattolico scorsesiano…). Si crea anche una sorta di ammirazione inconcepibile: forse figlia della Paura che assoggetta, forse del timore reverenziale nei confronti di chi è in grado di metterci a nudo e alla prova (vedi Nick Nolte che, dopo il pestaggio, si nasconde come un bambino), forse dinanzi al frutto di un’Ingiustizia generalizzata di cui ci sfuggono i contorni. L’attrattiva immensa dell’opera sta tutta in questa ambiguità sullo schermo e dentro lo spettatore, in questo richiamo continuo ma indiretto alla religione, alla mistica, al senso della Vita che supera fallaci manicheismi umani. De Niro è la conditio sine qua non della riuscita dell’opera: sprizza vigore da ogni poro della sua pelle tatuata con le tappe di un calvario che è arduo saper attribuire (di un Angelo Vendicatore o del Demonio?).