TRAMA
Quattro sconosciuti entrano nello chalet di Eric ed Andrew, che vivono con la figlia adottiva Wen, e spiegano loro che dovranno decidere le sorti dell’umanità, scegliendo chi sacrificare dei tre componenti della famiglia.
RECENSIONI
Shyamalan parte da un soggetto non suo, il romanzo di Paul G. Tremblay, e ne fa uno dei suoi film più personali – o meglio – uno dei film che più riflette (e fa riflettere) sul suo cinema. Che più ci interpella, direttamente, come spettatori. Il precedente più vicino a Bussano alla porta, nella filmografia del regista, è sicuramente Signs, dato che anche quello era un film sulla fiducia (e sulla fede) e che ci chiedeva di schierarci da una parte o dall’altra: credente o non credente? I segni di cui era disseminato il film (l’acqua, la frase della moglie dell’ex predicatore, pronunciata in punto di morte) come andavano interpretati? Segni del caso o segni del Destino? Alla fine, il protagonista fa la sua scelta, ma noi? Allo stesso modo: i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse che bussano alla porta della famiglia felice sono veramente i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse che annunciano la Fine o sono, piuttosto, quattro sadici psicopatici? Shyamalan fa di tutto per insinuare dubbi, depistare, ingannare, anche. Fin dall’inizio. Tutto il dialogo posto in apertura tra il Gigante e la Bambina è immerso in un’atmosfera sospesa, tra la fiducia e la sfiducia, il credere e il non credere. Il campo/controcampo è giocato con primissimi piani asfittici e fuori asse, l’attenzione va sui volti e sulle parole ma è, letteralmente, grammaticamente, obliqua, inquieta: Leonard è sincero? Quali sono le sue vere intenzioni? E la bambina quanto è realmente spaventata, quanto si fida? Sono le domande che, a ben vedere, accompagneranno personaggi e spettatori fino alla fine del film e che Shyamalan farà di tutto per mantenere vive, vere.
Per farlo, si diceva, utilizza tutti i mezzi possibili, anche quelli più autoconsapevolmente scorretti (quindi correttissimi). Questo gioco di inganni/trappole regista/spettatore inizia, come si diceva, subito, fin dal primo dialogo e prosegue senza soluzione di continuità. Immediatamente dopo, i quattro misteriosi personaggi entrano in casa e gli aggrediti tentano di chiamare il 911 usando un telefono fisso. Conviene qui riportare per intero un passaggio di quanto scritto da Giulio Sangiorgio su FilmTV: lo spettatore si infastidisce, non ci crede, sbuffa, borbotta; «Rieccoci: l'ennesimo film in cui, nel 2023, esistono persone non munite di cellulare e gente estinta che usa il telefono di casa». Ma attenti. Nel libro di Paul G. Tremblay da cui il film è tratto lo si dice sin da subito, che in quella casa alla fine del mondo non c'è campo. Shyamalan ce lo svela solo poi («ah, era perché i cellulari non prendevano», si rinfranca lo spettatore). Ce lo dice solo dopo averci indotto un pensiero che mette in crisi la credibilità del film, solo dopo aver crepato la possibilità delle sue immagini di essere verosimili. Gestisce il sapere, manipola chi guarda, si mette in difficoltà: vuole che non crediamo, prima, per poi provare a farci credere di nuovo”. È così. E sono manipolazioni di vario genere e grado, alcune delle quali ci chiamano direttamente in causa non solo come spettatori ma anche come, potremmo dire, persone: crediamo plausibile che un gigante tutto muscoli e tatuaggi di mestiere faccia il maestro elementare? Ed è davvero solo un caso che la famiglia presa di mira non sia una “famiglia tradizionale”? E se non è un caso, è una scelta diegetica che riguarda l’omofobia degli aggressori (falsamente suffragata da una delle non-svolte narrative della sceneggiatura, ma ci torneremo)? O rientra piuttosto nella nuova tendenza inclusiva hollywoodiana? E noi cosa ne pensiamo, di tutta/e questa/e faccenda/e?
False piste e depistaggi più tradizionalmente cinematografici sono ovviamente disseminati ovunque (le news pre-registrate, la reale identità di uno degli aggressori) ma tutti, a ben vedere, possono essere riferiti al meta-über-inganno principale, che riguarda Shyamalan stesso, il suo cinema e quello che ci aspettiamo da lui e dal suo cinema. Quando/dove/perché arriverà la svolta? Quale sarà, stavolta, la chiave del trick ending? La sorpresa, puntuale, arriva e consiste nel fatto che nella sostanza non c’è nessuna sorpresa: le cose stanno esattamente come aveva detto Leonard fin dall’inizio, il mondo sta(va) per finire e il sacrificio è/era l’unico modo per scongiurare l’apocalisse. Da questo punto di vista, Bussano alla porta è anche il più nolaniano dei film di Shyamalan, con The Prestige come referente privilegiato: l’esercito di cappelli clonati posti in apertura, con l’invito in voice over a osservare attentamente, spiegava già tutto ab initio. La chiave del film, il prestigio è già tutto lì ma Nolan depista, manipola e inganna, invitandoci a cercare “il segreto”. Che non c’è perché – ci dice per bocca di Michael Caine - “voi state cercando il segreto, ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando, voi non volete saperlo, voi volete essere ingannati”. Allo stesso modo, noi ci aspettiamo di essere ingannati da Shyamalan che stavolta non ci inganna – e quindi / o meglio – ci inganna al quadrato perché ci svela subito il trucco ma poi ci invita continuamente a cercarne un altro.
M. Night Shyamalan, con questo kammerspielfilm catastrofico, si conferma uno degli autori più autori dei nostri tempi, perfettamente padrone di tutta la materia (tematica, narrativa e tecnico/stilistica) trattata, sempre riconoscibile nella messinscena misurata fino al minimalista ma efficacissima (pochi sanno creare dal/col nulla suspense cinematografica come lui) e capace di far funzionare i suoi film su più livelli: dal grado zero del coinvolgimento di genere, alla capacità di riflettere (e farci riflettere) sul qui e ora del mondo che ci circonda, a quella di interrogarci non solo come spettatori ma come essere umani per arrivare alle continue riflessioni sul cinema e sul suo cinema, senza dare mai l’impressione di sconfinare nell’autoerotismo pubblico. Personalmente parlando, non so cosa potrei chiedergli di più.