TRAMA
Due adolescenti come tanti, Bobby e Marty. Solo che il primo sfrutta e tortura, fisicamente non meno che psicologicamente, il secondo. Sarà Lisa, la ragazza di Marty, a spingerlo a passare alla vendetta.
RECENSIONI
Another Day in Hell
“L’età inquieta”? Non esattamente: Larry Clark vede l’adolescenza, e ogni altra stagione della vita, come la zona morta, la terra di nessuno, l’età narcotizzata. Bambini, ragazzi e genitori sono impietosamente fotografati nella cristallizzazione della propria idiozia, intesa nel senso primario di isolamento: come cavie da laboratorio, i personaggi si muovono lungo percorsi ossessivi perché privi di meta, attraverso orizzonti invariabilmente piatti (l’oceano, le lande semideserte della Florida), mentre i corpi perfetti della tradizione americana perdono ogni traccia umana, riducendosi a meccani automatici e trascolorando insensibilmente nel colore della morte, e i pensieri non hanno fine semplicemente perché non hanno mai avuto inizio. Duro come una sequela di colpi di mazza chiodata, devastante come un rave party (ma senza tutto quel sentimentalismo posticcio), del tutto privo di indulgenza verso chiunque: non ci sono vittime né carnefici, solo adolescenti svuotati non tanto da droghe e Tv quanto dal non – confronto con adulti profondamente ottusi, estremamente abili nel mentire prima di tutto a se stessi. Sesso, allucinogeni e turpiloquio come se piovessero, ma quello che fa davvero paura, in questo panorama di “bancarotta sociale”, è il vuoto delle coscienze e la morte dei sentimenti, che Clark coglie con crudezza e infinita, sotterranea disperazione. Perché, a qualcuno, è rimasta la voglia d’incazzarsi. E' assurdo accusare il regista di essere cinico e freddo: è semmai profondamente morale, glaciale ed ardente al tempo stesso, nella descrizione di un'età rimbambita (vedi il videogame rivelatore, posto non a caso al centro dell’opera), in cui i giovani non vogliono diventare grandi e preferiscono ridursi a bebè, ignari del bene e del male, codardi anche e soprattutto nelle scelte più estreme (il teppista che entra nel mondo della criminalità soltanto per il breve lasso di tempo necessario a farsi un tatuaggio): tutto questo, ovviamente, col consenso dei genitori, terrorizzati all'idea di perdere il controllo sulla propria progenie e, soprattutto, di doverlo ammettere di fronte alla cosiddetta società civile. Chi ha deciso il casting di questo film deve essere ospite a vita del Pritaneo (se ancora ne esiste uno). Brad Renfro, già pupillo di un nazista ne “L’allievo” di Singer, è questa volta posto sotto la tutela del diabolico Nick Stahl, rappresentante di una “generazione perfetta” niente affatto aliena: insieme, sono la versione postmoderna di Leporello e Don Giovanni, inestricabilmente legati da un’attrazione neppure tanto sotterranea, che riguarda meno il sesso che un disperato, inconscio, reciproco bisogno di certezze. Adeguatamente inquietante la Lisa delineata da Rachel Miner, nerovestita come un’Erinni di periferia, ma la vera sorpresa del film è Michael Pitt, direttamente da “Dawson’s Creek”, quasi sublime nella parte dello strafatto, suonato, “innocente” Donny.
