TRAMA
Svizzera. Un giovane operaio, originario dell’Europa orientale, ritrova una compagna d’infanzia…
RECENSIONI
Il cinema di Soldini parla di uomini e donne in fuga da un presente doloroso o noioso, verso una destinazione sconosciuta, che diventa riconoscibile una volta raggiunta; di coppie “impossibili”, amori infelici, amicizie sincere, piccoli miracoli (il finale de “Le acrobate”); della necessità di ricostruire, platonicamente, un’anima divisa in due, a dispetto del mondo intero e, a volte, di se stessi.
“Brucio nel vento” è il nuovo tassello di un puzzle dotato di grande coerenza estetica e concettuale, e poco importa che possa sembrare, a uno sguardo distratto, un brusco “ritorno all’ordine” dopo la parentesi solare e fiabesca di “Pane e tulipani”. Fiabesco è anche questo film: la voce (nell’edizione italiana è quella, limpida e proteiforme, di Fabrizio Gifuni) che narra, chiosa, rassicura, inganna, le improvvise apparizioni di animali e piante generati dalla matita del protagonista (visualizzazioni di sentimenti e paure, affini alle visioni lisergiche del protagonista di “Un’anima divisa in due”), il modo in cui i flashback si saldano al racconto e lo dissolvono in un’atmosfera prima e al di là di tempo e spazio (“sono nato in un villaggio senza nome, in un Paese senza importanza”), ogni elemento (l’eroe solitario, la principessa inaccessibile nel castello circondato dalla neve, le prove che possono condurre al ricongiungimento) rimanda alle narrazioni “per l’infanzia”. O al genere “adulto” per eccellenza, la tragedia classica (il tabù dell’incesto, l’ereditarietà, il senso di angoscia indissolubile che alla fine si trasforma in violenza distruttrice).
Soldini possiede la capacità di costruire ogni volta universi differenti e magicamente affini, mondi quotidiani che, man mano, perdono di vista i vincoli del naturalismo “bruto” e deflagrano nel sogno, o nell’incubo. Anche per merito di una fotografia divina (firmata dal solito, divino Luca Bigazzi), “Brucio nel vento” è, da un punto di vista figurativo, un film ipnotico, fatto d’illuminazioni improvvise, schegge impazzite di presente e passato, paura e desiderio, sogno e illusione di realtà, sguardi che s’intrecciano e si confondono, dubbi e contraddizioni che avvolgono in una rete impalpabile e invincibile.
Opera casta, pudica, lievemente frigida: allo scopo di evitare pietismi e l’ammorbante retorica sentimentale ormai obbligatoria, il regista finisce per rendere i personaggi (specie quelli femminili) un po’ algidi e letterari, i paesaggi sospettamente levigati (anche l’assenza di glamour può sfociare nel glamour), le conversazioni teatralmente “in punta di penna” (magistrale, comunque, la scena dello scambio dei regali, con tutti i sottintesi del caso), mentre la storia non si distacca dal modello “lui ama lei, complicazioni, scioglimento”.
Compresso, introverso, sensibile, involuto. Ma ha più valore un film così, che tanti quadretti nitidi e vezzosi nella loro insipienza.

Tobias la vita se la vive in testa, la sfrena in una scrittura smaniosa e necessaria, costringe le circostanze nei propri schemi mentali, le piega e comprime fino a rendersele formalmente accettabili. Soldini restiuisce questo percorso tutto interiore con scelta azzeccata di toni, dipingendo un ambiente esterno che filtra da un mondo interiore complesso e lacerato. Lo spettro di una vita anonima e abbrutente ha la tinta smorta di una Svizzera che Luca Bigazzi fotografa con i colori lividi dell'angoscia e del presagio della sconfitta esistenziale. Il regista correda lo snodarsi degli eventi con deliziosi ralenti, lontani miglia dalla maniera, e alcuni flashback introdotti da una voce narrante mai ingombrante, a volte perfettamente funzionale alle immagini (la splendida visionarietà di un incipit che sarà difficile dimenticare). Come ne L'ARIA SERENA DELL'OVEST o ne LE ACROBATE, le due perle nel paniere, il regista si fa rapire dal dettaglio, procede nell'esposizione di una storia fatta, come sempre, di semplici casualità, di piccoli imprevisti, di felicità raggiunte per mera fatalità, attraverso un percorso contorto e accidentato. Innesta su un filone centrale, bello e intenso, piccole sottotrame che non si fanno mai accessorio ma che lo arricchiscono di suggestivi chiaroscuri, non tralasciando mai il discorso rappresentativo, curato ed espressivo come sempre. BRUCIO NEL VENTO non è privo di difetti - forse una maggiore stringatezza avrebbe giovato - ma riluce di una sincerità di intenti e di un impegno che ha pochi riscontri nel nostro cinema. La svagatezza "carina" (e perciò vendibile) di PANE E TULIPANI è stata un esperimento fortunato: Soldini e il suo cinema sono stati premiati con l'attenzione che meritavano. Altri ne avrebbero fatto un precedente imprescindibile e invece BRUCIO NEL VENTO ci dice che il progetto autoriale, di un regista del quale ci possiamo vantare, va avanti, personale e rigoroso. Evviva.
