Commedia, Recensione, Sala

BRIDGET JONES’S BABY

Titolo OriginaleBridget Jones's Baby
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2016
Genere
Durata123'
Tratto dada Bridget Jones's Baby di Helen Fielding
Fotografia

TRAMA

Bridget Jones arriva sola ad un altro compleanno. Stavolta sono 43. L’incontro casuale con un premuroso americano prima, e quello col mai dimenticato Mark Darcy dopo si apprestano a portare scompiglio.

RECENSIONI

Bridget Jones era nata, dai romanzi di Helen Fielding, come bandiera delle single ultratrentenni. La sua storia si prestava all’immedesimazione mettendo in scena, tra ironia ed autoironia, la difficoltà di vivere senza partner e figli in età da matrimonio, in un contesto sociale che sembra pervicacemente impegnato a far pesare la condizione come un’anomalia o una trasgressione da rimbrottare. La protagonista è anche diventata, immediatamente, personaggio fortemente caratterizzato, quasi maschera di un’imperfezione femminile con cui solidarizzare: sovrappeso, incline a bere e fumare troppo, pasticciona, totalmente priva di pretese intellettuali, quasi sempre incapace di rispettare i buoni propositi. Una in cui riconoscere almeno una parte dei propri limiti, insomma. A tutto questo si aggiungeva, nel primo capitolo, il richiamo alla più iconica delle storie romantiche inglesi: Orgoglio e pregiudizio. Il soggetto riproponeva infatti, in versione moderna e con i dovuti distinguo (Bridget non ha nulla dell’arguta Elizabeth Bennet), gli elementi cardine del romanzo austeniano: influenzata dalle menzogne di un affascinante mascalzone una ragazza disprezza un giovane perbene e benestante, eccessivamente orgoglioso e chiuso ma innamorato di lei, fin quando la verità si svela e lui le viene in aiuto in un momento cruciale. Questa citazione si era persa già nel secondo capitolo cinematografico di quella che si può ormai definire una saga, sequel che, a differenza del secondo romanzo, deludeva le aspettative e trasformava l’umorismo in demenzialità. Di vagamente austeniano, adesso, rimane solo la presenza di Emma Thompson, come interprete e sceneggiatrice. Il guaio è che la parabola della ultratrentenne sola era perfettamente compiuta nel riuscito primo film, che prima dei titoli di coda la vedeva uscire dal triste gruppo dei parla dell’amore. Il personaggio, al contrario, aveva qualche potenzialità, e l’idea di una single di ritorno poteva regalare, sulla carta, nuove avventure. Sulla carta, appunto, ma forse non al cinema.

Sul confine tra rinuncia, fallimento e caparbietà, il terzo capitolo ha avuto gestazione estremamente lunga e irregolare: dopo vari tentativi insoddisfacenti, misconoscendo quanto già scritto dalla Fielding - una Bridget cinquantenne e, soprattutto, vedova dell'amato Darcy - Bridget Jones's baby è nato prima come film che come romanzo, riscrivendo una storia più appetibile. Perso per strada Hugh Grant, che aveva incarnato alla perfezione l'uomo attraente e inaffidabile, il moderno Wickam che ogni donna sarebbe fortunata a non incontrare, al suo posto arriva Patrick Dempsey. Il quale, però, non ha la metà del carisma di Daniel Cleaver (a Grant va dato atto che pur non essendo grande attore risulta perfetto in due ruoli: l'imbranato e l'appetibile cialtrone). Il resto del cast è invece confermato, amici e madre imbarazzante compresi. Il film, dunque, non ha dalla sua il soggetto o un'idea geniale, ma una sceneggiatura ben più brillante rispetto a quella del secondo capitolo, grazie alla Thompson ed alla Fielding stessa. E solo questo salva la pellicola, tra battute più sferzanti e gag che puntano sulla comicità, quella fisica e quella verbale, proprie di Bridget, che pur non essendo più sovrappeso e malvestita, continua a sbagliare l'abbinamento degli abiti alle occasioni, a rendersi ridicola nelle disastrose presentazioni pubbliche e dirette televisive, ad apparire goffa e rimuginare a vuoto. Sempre contesa tra due uomini, la Jones è però oggi, a 43 anni, abbastanza distante dalla single disperata di un tempo. Come riflesso del cambiamento dei tempi l'unico orologio che continua a correre è quello biologico, così che la maternità è più centrale delle nozze, che possono arrivare o ritornare a qualunque età. Bridget Jones's baby, tornato in mano alla regista Sharon Maguire, è forte di questa scrittura divertente e divertita, frutto di uno sguardo femminile e consapevole. Ciò appare abbastanza evidente nel modo in cui scherza col personaggio di Cleaver-Grant, che apre e chiude il film dando allo spettatore l'idea che la Thompson, in particolare, ammicchi all'amico inglese. E c'è da scommettere che la sequenza in cui Bridget viene portata in ospedale come un sacco di patate da non uno ma due trafelati cavalieri sia farina del sacco di Emma, che ripropone in chiave comica la stessa situazione che in Ragione e sentimento (scritto sempre dalla Thompson, da un romanzo di Jane Austen guarda caso) decideva per ben due volte il destino di una delle due protagoniste. Che poi i personaggi maschili in scena siano rachitici e l'armonia tra i diversissimi Darcy e Bridget venga lasciata più alla speranza che ai fatti è fin troppo chiaro.