TRAMA
Amici da sempre, i giovani Ki-su e Jong-dae tirano avanti arrangiandosi: il primo lavora come autista privato per passeggeri ubriachi e si sfoga suonando la batteria, il secondo si dà all’autolavaggio ma il suo sogno è possedere una pistola autentica. Un giorno, senza preavviso, si fa vivo il fratello maggiore di Ki-su e gli affida in custodia il figlioletto Yohan: in tre è ancora più difficile, soprattutto perché Jong-dae finisce in un brutto giro.
RECENSIONI
Se “My Generation” (2004), il lungometraggio d’esordio di Noh Dong-seok, era un ritratto indolente e disperato di una generazione ossessionata dal demone della povertà, “Boys of Tomorrow”, sorta di sequel soft del precedente spaccato esistenziale, raccoglie le briciole di quella gioventù abbandonata a se stessa e tenta di rimetterle insieme con il collante dei sentimenti. Alla sciagura dei padri in fuga, delle madri folli e degli adulti opportunisti, Ki-su (Kim Byeong-seon) e Jong-dae (Yu A-in), presto raggiunti dal piccolo Yohan (Lee Dong-ho), reagiscono come possono: con una tenerezza che spesso degenera in durezza, in rabbia. Cercando di aiutarsi si fanno male, si feriscono e feriscono, confondono giusto e sbagliato, responsabilità e colpa. Ki-su si sente colpevole perché molto tempo prima ha segnato la vita di Jong-dae: per impedirgli di assistere a un evento traumatico, gli ha sferrato un calcio facendogli perdere un testicolo e rendendolo impotente. Con gli anni, Jong-dae finisce per individuare un sostituto della virilità perduta nella pistola: uno strumento di potenza in grado di compensare la menomazione fisica e garantirgli l’autonomia dall’amico-custode. Tra i due l’indifeso Yohan, nipotino di Ki-su, ennesimo anello di una catena di sofferenze private. Famiglia anomala e d’emergenza, dunque, quella di “Boys of Tomorrow”, complicata sul finire dall’inserimento di una figura femminile strappata alla piaga della prostituzione. Eppure in questa radiografia sentimentale qualcosa non quadra, il progetto di ricomposizione proposto dal film si infrange contro una sceneggiatura rigidamente programmatica (dalle buone intenzioni all’insoddisfazione, dalla trasgressione al ravvedimento) e contro una messa in scena che talvolta scivola nella leziosità e nella ruffianeria (ralenti languidi, accompagnamenti musicali malandrini, flashback didascalici). È in questi momenti che il digitale coerentemente impiegato da Noh (anche “My Generation” era girato in un identico formato) mostra la corda, adattandosi goffamente alle impennate emotive estetizzanti e alle inflessioni retoriche convenzionalmente melodrammatiche. E nonostante il direttore della fotografia Cho Sang-yoon, premiato con la Menzione speciale al 60º Festival di Locarno, riesca a controllare mirabilmente il timbro visivo del film, “Boys of Tomorrow” trova i suoi momenti migliori in quelle sequenze in cui lo sguardo, svincolato dall’obbligo di
spiegare e motivare, si può abbandonare liberamente alla descrizione fenomenologica (la strepitosa scena del falso acquisto della pistola nei vicoli) e alla toccante iscrizione delle figure nello spazio (il piano sequenza del pianto di Yohan, reso ancora più straziante dalla postura del bambino: spalle alla camera, primo piano negato). Certo, niente di paragonabile all’austera rassegnazione di “My Generation” (che in alcuni passaggi ricorda addirittura le leggere derive di Hou Hsiao-hsien o le esplorazioni attonite di Jia Zhang-ke), ma comunque il segno inequivocabile di un talento registico tutt’altro che esaurito. Eccellenti le prove attoriali, con Yu A-in e Kim Byeong-seon (già protagonista del precedente film di Noh) che danno vita a un avvincente duetto. Attenzione: di tanto in tanto fa capolino il cinema di Scorsese, “Mean Streets” probabilmente.
